martedì 21 dicembre 2010

del silenzio a volte


non è che li tratti bene i miei venti (manzoniani) lettori.
Per lunghi tratti non scrivo più nulla e le persone giustamente si stancano di passare davanti ad un edicola sempre con lo stesso giornale.
è che il bello di un blog è proprio il suo flusso umano.
Allora le giornate passano in fretta perché, citando ligabue, che non sarà colto ma con la pancia a volte ci prende "la vita è sempre forte/molto più che facile" .
Ecco a volte la vita, come credo capiti anche a voi, prende il sopravvento sulla parola.
Poi passando di notte in un parco giochi vuoto e innevato scopro questo strano attrezzo nella foto.
Credo serva a lanciare un pallone dentro e vedere da dove esce (?),  ma ricorda anche certi megafoni da fantascienza anni '30 ed ha una sua bellezza misteriosa.
Non riesco  a sfuggire alla facile metafora.
Che la vita è un pò questo gioco, che tu lanci cose in aria e non sai mai bene da che parte ricadono.
Dal prossimo post basta poesia. prometto.


the searcher

lunedì 15 novembre 2010

la seconda chance_take two




Lascia il mondo dello spettacolo vent'anni fa e si dedica al surf, che pratica  davanti alle selvagge coste britanniche.  
Si ammala a causa delle acque nere (pericolosi reflui che arrivano direttamente dalle fogne) rilasciate da un condotto vicino a cui stava surfando. 
Da quel momento diventa un ambientalista convinto e si batte per molti anni per migliorare la qualità delle acque dei mari inglesi, offrendo il suo nome e il suo denaro per le cause che riguardano l'inquinamento delle coste. Si impegna attivamente nella  fondazione S.A.S. ( Surfers Againts Sewage, Surfisti contro le acque nere).
Grazie alla sua determinazione, unita a quella delle associazioni ambientaliste, riesce a debellare la presenza nei mari britannici  dell' Escherichia Coli un batterio molto velenoso per l'uomo.
Attualmente vive in Cornovaglia,  dove si dedica (ovviamente) al surf ed al golf. 

L'uomo di cui vi sto  parlando e che vedete nella foto è Andrew Ridgeley, co-fondatore degli Wham e star planetaria del pop mondiale negli anni tra l'82 e l'86. 

Tutti hanno diritto ad una seconda chance.


the searcher

per leggere "la seconda chance_take one" andate qui








tutte le informazioni sono tratte da wikipedia.

venerdì 12 novembre 2010

vieni via con me




mica facile scrivere sulla trasmissione di fazio/saviano.
ma un caro amico mi dice che devo scrivere di televisione e quindi lo faccio.
Confesso poi di aver visto la trasmissione a tratti su you tube il giorno dopo, ma credo di averne capito lo spirito, lo stile e la struttura
partiamo da una particolarità..
La casa di produzione di vieni via con me è la Endemol. La stessa de Il grande fratello (anzi Endemol è l'inventore del format.)
Il grande fratello va in onda la medesima sera, viene stracciato da vieni via con me, che credo regali uno share storico a rai tre.
Quindi ricapitolando; Endemol la sera dell'8 novembre è presente su due reti concorrenti, con due programmi radicalmente diversi, guadagna il 21.5% con Fazio/saviano e il 18.4% con il grande fratello. un totale di circa il 40% dello share di quella serata.
Certo Endemol è stata la struttura "tecnica", è chiaro che i contenuti e lo stile della trasmissione sono saldamente nelle mani dei suoi autori, ma è interessante far notare come queste trame, intrecci, contaminazioni produttive generino meticciati che scardinano parecchio le guerre di religione sulla
buona tv vs cattiva tv.
A proposito, di questo voglio parlare.  Quello che ho visto nascere e crescere con un pò di fastidio è questa sensazione di battaglia vinta contro i barbari . La tv che può essere alta, civile, impegnata, educata e fare i grandi ascolti, non come il GF che è quello brutto, sporco e cattivo.
Niente di più superficiale.
Anche se mi rendo conto che il terreno è minato, di nuovo proverei a svelare dei meccanismi che sono prettamente televisivi e in cui i contenuti c'entrano tangenzialmente.
"Vieni via con me" è un evento irripetibile. E come tale viene vissuto dagli spettatori. E ci mancherebbe che non trionfasse nello share.
Sappiamo che sono solo 4 puntate, sappiamo, anche se lo diciamo con pudore, che ascoltare saviano può ogni volta essere una occasione irripetibile, per le condizioni in cui una persona del genere è costretto a vivere. Il senso di irripetibilità unito, è chiaro, ad una alta qualità dei contenuti fa vedere quella trasmissione come piacere ma anche come una sorta di dovere "civico" (e non entro nel merito di un paese che è costretto a trasformare lo share di un programma televisivo in una dichiarazione politica di intenti...)
Ovviamente i contenuti del GF sono diversi. Non direi neppure inferiori o superiori, sono proprio di un altro pianeta sociologico e umano, ma davvero non possiamo confrontare le due cose in termini di share.
Non possiamo perchè facendolo ignoriamo delle evidenze tecnico/televisive.
IL GF è un programma di sconosciuti che va in onda per 3 mesi una volta a settimana e che viene meticolosamente spalmato su tutta la settimana di programmazione. Pillole quotidiane, tavole rotonde del pomeriggio, dirette web, parodie gialappistiche, che mettendolo alla berlina pure lo riassumono ( e mandano in onda) a loro volta ogni settimana.
Quindi è' un programma televisivo molto tradizionale che attraverso la periodicità mantiene saldamente lo zoccolo duro di audience e di spettatori che si è costruito.

e poi il GF è una specie di romanzo d'appendice a puntate.... 
Personaggi che come in un feuilleton, si delineano giorno per giorno, creando il proprio seguito, sviluppando un meccanismo di tifo/identificazione oppure di ripulsa, per arrivare allo zenith dell'ultima puntata, con quelle riprese incredibili del vincitore che si aggira solo per la casa. 
Significati simbolici nazional/popolari potentissimi. Uno sconosciuto che sconfigge altri sconosciuti, diventa famoso, rimane padrone dello spazio, guadagna un sacco di soldi e cambia la sua vita. Romanzo d'appendice e bar sport insieme. Come possiamo confrontarlo con una tv come quella di fazio? Che giornalistica, culturale, investigativa? alta appunto? 

Il fatto che  il GF abbia subito un emorragia durante la serata di vieni via con me è una buonissima notizia ma non è la rivoluzione televisiva. Significa poi che molto pubblico civile, impegnato, diverso, forse vede anche il grande fratello. O no?
Se vieni via con me andasse in onda per tre mesi ( e non può per la natura stessa di programma che è) lo vedremmo diventare una trasmissione "normale" (passatemi il termine) e rientrare fisiologicamente nel suo share naturale, Che credo sarebbe comunque alto, ma non alto come la prima sera. A quel punto una riflessione sule molte televisioni possibili sarebbe più interessante e più autentica.
Invece molti cercano di impugnare vieni via con me come un arma per delle presunte battaglie moralizzatrici. Credo che sia sbagliato in termini assoluti e credo che non giovi nemmeno al programma, che non può più essere giudicato con un metro artistico/creativo ( e ci sarebbero riflessioni interessanti da fare) ma diventa un manifesto politico e morale e quindi pericolosamente vicino al dogma.
E' un bel programma? Com'è il suo ritmo? e i contenuti? è possibile trasformarlo in un modello di televisione pubblica? e se si come?
ecco le domande che sarebbe bello farsi.



the searcher

domenica 7 novembre 2010

Fini il televisivo



questo è l'inizio di della convention perugina di Futuro e libertà.
C'è un debito che tutti e dico tutti dovrebbero pagare e riconoscere a Berlusconi. Ed è stata la capacità di innovare definitivamente il linguaggio mediatico della politica italiana.
Come in molti casi non ne è l'inventore.  L'intuizione la ebbe Craxi, con il (finto) architetto Panseca e i faraonici congressi socialisti degli anni '80. La sala come luogo e recita della  nuova potenza politica, gli oggetti architettonici simbolici (la piramide)  e il cambio fortemente simbolico della falce e martello con il garofano.
Craxi intuì che i cambiamenti politici dovevano essere personificati da cambiamenti estetici, aveva capito la società mediatica che si andava formando.
Berlusconi ha perfezionato quel lascito e vi ha innestato le tecniche televisive e di marketing che conosce alla perfezione, cambiando il modo di comunicare la politica per sempre.
I finti congressi di forza Italia erano e sono ancora, come ho spiegato altrove,  essenzialmente spettacoli televisivi, nati per essere efficaci su uno schermo più che in platea.
Osservando questo inizio di lavori del neo partito finiano e pensando anche molti congressi PD, a cominciare da quello Veltroniano che partiva con le colline umbre dietro al podio del leader, che rifiutava di pronunciar e il nome di berlusconi , ma ne adottava tutti gli stilemi comunicativi,  tutti hanno fatto propria la lezione.
Tornando a Fini, la televisività è presente in molti aspetti;  la "messa in scena", un pò  convention aziendale, con le immagini della "bella Italia che vogliamo", la solita Rita Levi Montalcini, Falcone e Borsellino,  il palco, a metà tra lo stand di una fiera della tecnologia ed il palco del bagaglino.
Rilevo poi anche la sofisticatezza della struttura tecnica di chi ha filmato il congresso di FL, impensabile nel passato. I movimenti di camera che passano sulle teste dei presenti, i punti macchina diversi.
Le luci in chiaroscuro molto più cinematografiche che da palco politico, che devono essere non piatte e luminose, ma di taglio, charoscurate ed "emozionali" a scolpire le figure, proprio come al cinema.  La regia è sapiente e curata, soprattutto costosa. Tutto questo è frutto di un apparato di riprese degne di un film.  Pensata anch'essa essenzialmente per la sua messa in onda simbolica e reale, non più solo in televisione, ma anche sui siti del partito e su you tube (dove infatti l'ho trovata).

Quando Berlusconi sarà passato e potremo affrontarlo storiograficamente, dovremo arrenderci alla evidenza della sua capacità di innovazione dei linguaggi e delle regole dei mondi che ha affrontato, suo vero talento.

L'edilizia (le città ideali)  il mondo dello sport ( qualcuno se lo ricorda atterrare in elicottero alla presentazione del suo Milan stellare?) la politica (meno tasse per tutti, un tormentone, nostro malgrado).

Un talento di cui tutti, anche Fini, che lo voglia o no, hanno fatto tesoro.


the searchers

venerdì 5 novembre 2010

pirates of the caribbean






A volte sono un bastardo e a volte un buono 
a volte non so neppure come io sono 




mi piace qualunque cosa che è proibita 
ma vivo di cose semplici, vivo la vita 
Io donne ne ho avute tante che mi han capito 
e altre che in mala fede mi han ferito 
ma è arrivato giusto per me il momento 
per dir come io sono, come io sento 
Ti dirò 
impresto l’anima o io cuore 
sono un pirata ed un signore 
più amor proprio che pudore 
Ti dirò 
amo la luna e amo il sole 
sono un pirata ed un signore 
professionista nell’amore 
C’è chi mi dice adesso che son più buono 
e là dove condannavo oggi perdono 
non vado a un appuntamento senza un fiore 
ma non confondo il sesso con l’amore 




ascoltando le ultime dichiarazioni di berlusconi mi domandavo tra me e me "ma dove le ho già sentite?" 
poi mi sono ricordato. 
Ho capito che ricalcavano perfettamente una leggendaria canzone che ho trascritto qui sopra. 
"Sono un pirata sono un signore" di julio Iglesias. Testo italiano di Gianni Belfiore
non sto facendo dello spirito e anzi sono serio. 
Già in altri post ho provato a raccontare Berlusconi dal punto di vista che più mi affascina. quello delle sue radici culturali, emotive e anche artistiche. In questo post, ed anche in questo ho cercato di capire quali sono i modelli di berlusconi. Che non pescano, e non hanno mai pescato nel mondo dell'imprenditoria o della politica, bensì, ne sono convinto, in quello del cinema, della televisione, della canzone dei suoi anni di formazione. 
Rileggendo le parole che usa nella sua dichiarazione ( "amo la vita" ) e con le immagini con cui descrive le feste "per rilassarsi" il quadro è chiarissimo. 
Siamo nel pieno del clima boccaccesco e neo/disinibito del nuovo cinema italiano anni 70. Il berlusconi che si racconta è Ugo Tognazzi con una kimono in seta,  è Adolfo Celi di "amici miei atto II" (un film che sono sicuro lui ama e che infatti è di una tristezza e di una solitudine abissali) ci metto  addirittura "indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di elio petri, con un gian maria volontè troppo rigido e florinda bolkan nuda sotto i pareo di seta. 
Io sono insomma arci convinto che la senilità di berlusconi sia la mise en scene di un immaginario desiderato e invidiato nei suoi anni giovanili.  Un imprenditore che ama il denaro, ma che nasconde il suo senso di inferiorità per artisti, attori figamaniaci e cantanti seduttivi e la sublima imitandone le gesta "collaterali" e non le sostanziali. Niente amleto quindi, ma piutosto orge da dolce vita. Il contorno senza la pietanza insomma.
Ecco allora l'evocazione inconscia di Julio Iglesias, bellissimo nei suoi completi con panciotto, magro (e pieno di capelli...) che canta appoggiando il microfono sul cuore e sussurra "ti dirò, amo la vita ed amo ilsole" mentre le signore vanno in deliquio.  
Il fatto è che applica a se medesimo Capo del governo, uno standad di comportamento, una aderenza a dei modelli di trasgessione creativa che sono profondamente conficcati nel suo immaginario di adolescente e adulto represso e smanioso di figa anni 50/70.  
E' a quella potenza seduttiva che berlusconi aspira, ed infatti non capisce lo scandalo. lui è una star e vive da star... Se berlusconi fosse Jhonny Cash ci sembrerebbe perfino morigerato. 


Poi certo, lui i modelli li stratifica da quel bulimico delle sensazioni che è, e quindi vorrebbe essere allo stesso tempo, Charles Trenet che canta languido "que reste t'il/de nos amours"  con il ciuffo e la paglietta, ugo tognazzi che cucina risotto allo champagne circondato da mignotte e per finire il manuel fantoni di borotalco! che molto ha vissuto (e va da se, molto ha scopato) e poi anche presidente, e poi calciatore di successo e anche imprenditore, e aspetta aspetta anche  presentatore però... e e e e .... 
francois truffaut diceva che da bambini si può essere qualunque cosa. E' il bello del gioco e dell'infanzia. Poi da grandi si sceglie un gioco e si deve fare solo quello. Aggiungeva infine che fare il regista era il suo modo per continuare a giocare con tutto. 
Anche berlusconi è un eterno adolescente/bambino che vuole continuare a giocare con tutti i giochi e non lasciarne neppure uno. 
IL fatto complicato  è che anche il paese, in questo momento è uno dei suoi balocchi.  Peggio, è una scena. Una quinta teatrale su cui ricreare incessantemente il suo immaginario perduto. 




the searcher




ps
sevono un pò di riferimenti a tutto quello che ho citato. 
ecco allora dei link.


Charles Trenet


Julio Iglesias


manuel fantoni in borotalco.


indagine di elio petri

lunedì 18 ottobre 2010

a lezione di umiltà (dalla televisione...)



mi occupo di video per vivere. ed anche di contenuti.
Nelle scorse settimane ho contribuito a scrivere, girare e mandare in onda una trasmissione sulla settimana della moda milanese.  Non vi dirò quale perchè non è questo che conta. Vi racconterò invece com'è andata, cosa più interessante.
Ho iniziato la produzione pieno di spocchia e di intenti pedagogici.
E' ora di finirla con la tv che intervista le starlette, i tronisti, la volgarità.  Io avrei cambiato le cose, eccome se le avrei cambiate... più profondità, più riflessione e addirittura... più cultura! gliela avrei fatta vedere.
Insomma ero partito con tutte quelle erronee convinzioni care alla intellighenzia snob della rete secondo cui la televisione (e lo spettatore...) vanno educati, spinti verso la fruizione "alta"...nonostante avessi lavorato (e molto) in tv da giovane. Ero convinto che allora la giovane età mi aveva impedito la rivoluzione che adesso ero pronto a combattere.
Mal me ne incolse...
Come è andata quindi?
E' andata che volevo "educare" la tv e la tv ha "educato" me.
Mi ha educato ai suoi ritmi, ai suoi contenuti "naturali", mi ha insegnato che le persone non vogliono affatto sentirsi fare delle domande originali, diverse, che le spingano a riflessioni profonde. anzi, vogliono essere rassicurate con le domande di rito. "Quali sono i temi della tua collezione" "che materiali hai usato" "cosa pensi della settimana milanese della moda" e mi sono addirittura accorto che è meglio così.
Che cercare in un contesto errato (un programma di moda in cui contano i vestiti) un significato alto, non solo è fuori luogo, ma produce ahimè cattiva televisione.
Il programma ha iniziato a vivere di vita propria e mi ha letteralmente  piegato alle sue esigenze.
Avevo fatto lunghissime interviste alle direttrici dei giornali, molte domande sul costume, sul consumo.
Certo le ho usate, ma facendo i salti mortali per farle entrare nel ritmo della trasmssione, che era una sequanza sincopata, di backstage, sfilate, interviste flash ai designer e ancora sfilate.
Sono poi caduto nel solito meccanismo presuntuoso di chi intervista, ho cercato attraverso le mie domande di apparire intelligente... errore madornale.
Le domande servono a far sembrare intelligente chi risponde non chi domanda. Il risultato è quello di scrivere cose "autorispondenti" e di irritare chi ti sta davanti....
Insomma la grande lezione di umiltà televisiva.
Un programma, ha tempi ritmi e argomenti che si autoimpongono,  cercare di rivuluzionarne i modi e contenuti non solo è velleitario, ma non funziona neppure.
Le rivoluzioni si devono fare nei cinema d'essai, nei programmi sperimentali, nei luoghi in cui sono possibili.
Una caporetto cultural/catodica quindi? Non del tutto, alla fine.
In un programma come quello che ho affrontato si possono ottenere piccole vittorie, umili, tenaci e che spostano di un millimetro verso l'alto l'asticella della volgarità.
Ho fatto piccole battaglie quindi.
Non intervistare paola barale per esempio, preferendole la direttrice di Elle america.
Ignorare melissa satta (ex velina) e chiedere una battuta a Maria Latella.
Ho scelto musica patinata ma non per questo banale. Più Depeche Mode e Bowie che Lady Gaga quindi.
Piccoli spostamenti all'interno di un genere insomma. Che lungi dall'essere una limitazione sono piuttosto una sfida ed una lezione su quello che le circostanze permettono e quello che no.
Scomodo qualche grande del cinema, per spiegarne il senso. John Ford a Alfred Hichcock, non si sarebbero mai sognati di definirsi artisti o peggio "rivoluzionari".  Semmai artigiani del loro "genere", il wester e il thriller.
Ecco, un pò di artigianalità e meno ideologismi mi hanno permesso di uscire più o meno indenne e con una moderata soddisfazione del lavoro fatto.
Gli ascolti? Suvvia non penserete che contino davvero qualcosa?
LA tv è come la bocca di fornace di un treno a vapore lanciato a tutta velocità. Brucia tutto quello che le butti dentro solo per continuare a camminare. E un minuto dopo la messa in onda,  quello che hai fatto e che ti sembrava così importante, è solo uno sbuffo di fumo nella prateria.


the searcher.


l'autore della foto è QUI

giovedì 14 ottobre 2010

less is more




Non abbiamo più dischi. Perchè compriamo tutto su i tunes.
E tra un pò di anni ( andrà così lo so, lo sapete) nemmeno libri e i giornali.
Li scaricheremo sull'i pad e sul kindle.
Le case sono destinate a cambiare e foto come questa non se ne scatteranno più.
Sarà tutto molto "less is more" e soprattutto, gironzolare da nuovo invitato ad un cena in cui non si conosce nessuno, sarà molto più imbarazzante.
Non si potrà più ingannare l'attesa curiosando le coste dei libri e i titoli dei dischi.
Nessuno si farà idee sul padrone di casa. E' un lettore o no? Ascolta musica o no?
Finiti gli incipit a tavola " ho visto che ti piace moravia..." e via a parlare dello sporcaccione che era.
Un bagno di umiltà poi... la casa di un ignorante sarà uguale a quella di un'intellettuale, la libreria come simbolo di potere, Il potere della conoscenza scompare. Magari sostituita da un elegante mobile porta hard drive.
E nemmeno quello, perchè tanto sarà tutto remotato da qualche parte in un deposito a cupertino, e noi richiameremo dati via rete solo quando ci servono.

Non è detto che sia un male, magari le conversazioni saranno più curiose e guardinghe, e in fin dei conti ci si farà meno preconcetti su chi ci ospita.

Cosa avremo quindi? 
Probabilmente un tablet portatile,  un wi fi potentissimo e molto più spazio.
Uno schermo enorme poi, va da se (magari anche quello sarà un ologramma e una volta spento.... altro vuoto nel soggiorno...)

Certo la bellezza delle suppellettili, degli arredi,  dei soprammobili ("quello l'ho preso in Birmania l'ultima volta. Un viaggio bellllissssssimo..") continuerà a parlare di noi.
Una casa è un pozzo di segnali sul suo proprietario praticamente inesauribile.
Diciamo che un simbolo materiale della nostra formazione culturale e sentimentale si avvia a divenire immateriale e invisibile ai nostri ospiti.


the seacher


la foto è uno scatto bellissimo tra i molti della leggendaria  magnum photos. E' qui

la seconda chance



amo fare archeologia televisiva e qualche giorno fa sono andato a scoprire che fine avesse fatto un personaggio tv degli anni '80. 
Lo trovo ovviamente su wikipedia e sempre più incredulo leggo le sue note biografiche, fino ad imbattermi in queste ultime strabilianti righe.


Dopo aver ricevuto una visione, nel 1999, dal capo della Nazione Blackfoot, Rufus Goodstriker (Seen from Afar), riceve il suo nome indiano, Iniumahka, "Bisonte che corre". Dal leader spirituale Bruce Starlight (Nazione Blackfoot) gli viene inoltre concesso di poter pregare con la Chanunpa, la "Sacra Pipa", il più alto simbolo della spiritualità degli Indiani d'America, donata loro da "Donna Bisonte Bianco" in tempi remoti. Dall'apache Mescalero Danny "Many Horses" Rael, nel 2001, riceve il suo secondo nome, Chè Toka Se Eèhi, "Uomo il Cui Spirito si Solleva al di Sopra delle Nuvole", e due penne d'aquila, l'espressione più spirituale per i Nativi americani, l'equivalente di due medaglie d'oro, essendo l'aquila, Wanbli Gleshka, l'emissario del Grande Spirito sulla Terra. A partire dal 2000 si produce in un'assidua attività di conferenze e conduttore di seminari sulla cultura dei Nativi americani, sui cerchi nel grano, sulle Nazioni delle Stelle (quelli che noi chiamiamo gli alieni), sulle profezie Hopi e Maya relative al 2012, sia nel nostro Paese sia all'estero.


Il personaggio di cui cercavo tracce era un comico e quel nome indiano che vedete evidenziato mi insospettiva parecchio, per via della sua fonìa come dire... parecchio milanese. 
Penso quindi ad un geniale gesto dadaista e che sia tutto uno scherzo messo in piedi dall'ex cabarettista per prendere in giro noi e wikipedia in una botta sola.
Beh mi sbagliavo...
E' tutto assolutamente vero.
Il comico di cui vi parlo è enzo braschi, che passò alla storia del drive in per la sua "maschera" del paninaro, tutto piumini, timberland e parlata in "ascion" (imboscation, panination, cuccation)
ecco un link per rinfrescarvi la memoria


drivein


Scopro così che enzo braschi si è laureato in filosofia con una tesi sulla "spiritualità dei nativi americani delle grandi pianure" (addirittura) che ha ora all'attivo numerosi libri sull'argomento e fa seminari in Italia e all'estero come esperto di ufologia e studioso della profezia maya del 2012 (si proprio quella sulla fine del mondo).
Che dirvi... è interessante.. me lo immaginavo faticosamente aggrappato a comparsate in discoteche di periferia con l'eterna maschera tramontata del paninaro, invece scopro che si è rifatto una vita.
Cero mi insospettiscono parecchio i suoi skills sulle profezie maya e cerchi nel grano,  dalle parti di voyager e sospetto che abbia trasferito la sua voglia di palcoscenico nelle conferenze, però è una reinvenzione di vita, dopo il successo tv, in fin dei conti interessante.
La televisione ti "congela" nella tua storia televisiva appunto e quando un personaggio scompare non riusciamo ad immaginare che fine faccia.  I comici di solito finiscono a fare teatro brillante, che serve a fare credere alle casalinghe di voghera che stanno "andando a teatro". La deriva peggiore sono le comparsate in tv locali sempre più improbabili giù, fino alle discoteche di provincia.
Braschi si è inventato una storia diversa, ha ricuperato gli studi universitari, ha scritto e immagino che quelle cerimonie per ricevere le più alte onorificenze indiane siano state emozionanti e anche "vere".
 Con le dovute riserve sugli  argomenti è comunque una storia di rebirth interessante.


the searcher

mercoledì 29 settembre 2010

il Corona sbagliato






La vanità è il peccato preferito dal diavolo dicono. Ed anche dalla televisione.
Per qualche ora sembrava che un Corona dovesse partecipare a "l'isola dei famosi".
Ma non Fabrizio, il presunto amante di Lele mora,  proprietario di una agenzia fotografica. no. 
Era Mauro Corona.
Corona lo scrittore, il poeta, lo scultore, l'uomo dei boschi, lo scampato alla tragedia del Vajont, scoperto nella sua capanna di artista da personaggi del calibro di Claudio Magris. 
Questo ci aveva raccontato nella sua epica.
E io ci avevo creduto.
Ma sono bastate queste poche ore di tentazione prima della rinuncia ufficiale a partecipare  al reality, per farmi capire la finzione. La grande finzione costruita anche in un personaggio come Mauro Corona, che disperatamente desideriamo immaginare vero fino in fondo. 
Mauro Corona era riuscito a risolvere la contraddizione suprema; diventare personaggio, star, attraverso  l'ostentazione quasi insolente della sua indifferenza alla fama, alla popolarità.
Era riuscito a farsi percepire come un timido che viveva la sua crescente popolarità con stupore, quasi con fastidio.  Ce lo immaginavamo schivo e solitario aggirarsi tra i bochi con un quaderno in mano ed accogliere le troupe del tg davanti ad un bicchiere di rosso, domandando stupito, "ma che volete da me?"
Diventare famoso suo malgrado insomma.
Tutto perfetto fino a ieri.
Poi per 12 ore riflette se andare al "L'isola dei famosi. "Per insegnare a questa gente come si resiste" dice lui. E la finzione va in frantumi.  
Resistere a cosa? Alla televisione si resiste non andandoci. Alle privazioni ci si assoggetta se non c'è altra scelta. La finzione di sofferenza che l'isola costruisce è quanto di più lontano possa esistere dalla presunta "verità" di cose ultime, sostanziali che Corona dice di rappresentare.
La vanità colpisce tutti e dove meno te lo aspetti. E' una brutta bestia che ti insegna a mentire a te stesso. Ci si può anche arrendere beninteso. Ma si comincia un altro gioco. Che passa dalla De FIlippi e costeggia Novella 2000.
Corona ha capito in frettissima dalle reazioni della gente che il suo personaggio (fintamente) contro sarebbe uscito distrutto da questa avventura ed ha fatto rapidamente marcia indietro. 
Troppo tardi.
Anche nel "Truman Show", qualche volta Jim Carrey prende la porta sbagliata  e sorprende comparse a riposo, fondali e quinte di scena. Si domanda cosa siano e intuisce che qualcosa non va.
Diciamo che in questo pomeriggio di tentazioni Corona (Mauro) ha lasciato una porta aperta e noi abbiamo guardato il suo backstage. 
Non era un bello spettacolo.


the searcher

martedì 21 settembre 2010

portait of an entrepreneur as a young man




immagino le abbiate già, viste, ma non voglio corriate il rischio di perderle e quindi ne propongo una ad esempio, ed vi indico anche il link che è qui .
E' impossibile non commentare questa galleria.
Evidente l'ossessione per i capelli. pur calvo non rinuncia ad un taglio che mi ricorda il palazzinaro romano Coppola.
Interessante l'atteggiamento: sicuro di se, strafottente, lievemente minaccioso.
Quello però che più mi colpisce, perchè non ci sono abituato è la sua sensazione di "contemporaneità". Di uomo che vive il suo tempo.
Io che considero berlusconi una sorta di revenant degli anni 50, stupisco nel vederlo così a suo agio in un abito anni 70, aderente e di stile (certo anche Vallanzasca amava i gilet, non è un paragone rassicurante). Però quest'uomo, con tutta la sua aria torva è comunque "vero". Più della tragica figura da teatro greco di questi anni. Mi riferisco proprio all'estetica beninteso, non alle azioni.
La sensazione di artificioso che Berlusconi comunica da sempre, qui non c'è (ancora).
Certo è compiaciuto, vanesio, sicuro di se e già con quella punta di teatro che così tanto gli si addice. Ma la maschera non ha ancora preso il posto della persona.
E poi l'ufficio, addirittura di buon gusto, considerando l'epoca, con una lampada di design sul tavolo.
Certo è che se servissero delle immagini simbolo per dettagliare la impoliticità assoluta berlusconiana queste sono perfette.
Siamo nel 77, un anno molto particolare per la società italiana e niente è più sideralmente lontano di questo ufficio ovattato dalle immagini di piazza dell'epoca. Bastoni, molotov, polizia in assetto
anti-sommossa.
Una navicella spazio-temporale che naviga nel '77 costruendo villaggi vacanza alle porte di Milano.
Ed ecco un altra contraddizione di Berlusconi (a cui spinge me che scrivo).
Vederlo così contemporaneo al suo tempo, nell'estetica, nei segni simbolo ed allo stesso tempo così avulso dai suoi anni. Una sintesi di opposti che gli riesce da sempre. Padre nobile e puttaniere, Statista e ladro, giovane e vecchio.
E per concludere non possiamo davvero stupirci che abbia affrontato la sua avventura politica senza radici e bagagli ideologici. Queste foto ne certificano l'assenza già nel lontano 1977.

the searcher

lunedì 19 luglio 2010

il team building spiegato alle masse




Su Discorvery Real time mandano in onda un programma che si intitola Tabatha, mani di forbice.
Tabatha, che vedete qui sopra,  è una cazzutissima hair stylist (parrucchiera...) che piomba nei saloni di bellezza in crisi, li rivolta come calzini e ne fa un negozio di successo.
Detta così sembra robaccia ma non lo è. Affatto.
Ieri mattina ho seguito letteralmente ipnotizzato la puntata in cui risolleva le sorti di un negozio di Burbank, California, gestito da un fannullone gay ex venditore di immobili pieno di debiti e con una forte resistenza alla pulizia....
Il lavoro di Tabatha sul proprietario, il direttore del negozio e i parrucchieri è stata una applicazione da manuale di team-building, costruzione di senso  e leadership come non ne ho visti in molti rinomati progetti di consulenza (e credetemi... ne ho visti).
Senza snobismi credo davvero che questo nuovo segmento di programmi sia molto interessante per studiare  le dinamiche di aggregazione degli esseri umani.
Chef rinomati che rimettono in sesto ristoranti, dietologi che aiutano persone con problemi di peso,
fino a Tabatha...
Cosa ha insegnato Tabatha nella puntata che ho visto?
Ha insegnato al proprietario ad avere rispetto dei clienti e del suo team. Gli ha insegnato che un leader da l'esempio e protegge la sua squadra. Sempre.
Soprattutto l'ho vista prendere in mano un gruppo di professionisti (anche i coiffer lo sono, certo) demotivati, stanchi, pettegoli e sciatti e farli tornare un gruppo di persone orgogliose del proprio lavoro e del proprio luogo di lavoro.
Certo la televisione amplifica le reazioni e i sentimenti. Un dato grado di finzione è fisiologico, ma credetemi, meno intenso di quello che si crede. Ho visto grandi aziende lavorare così ed ho visto reazioni molto simili, assenti le telecamere.
La lezione da apprendere più profonda poi, e che merita rispetto, mi è sembrata quella sui dipendenti.
Le persone da molto tempo a questa parte non lavorano più per un salario. Lavorano per dare un senso alla propria esistenza. Ed anche se può sembrare manipolativo e regressivo, chiedono alle persone che offrono loro un impiego di costuire un "racconto" di vita che li faccia sentire fieri e orgogliosi di quello che fanno.
In tutto ciò non c'è nulla di male, anzi molto di bene. Tabatha ha lavorato rispettando i dipendenti del salone di bellezza, complimentandosi  per le competenze scoperte, incoraggiando talento e istinto, ma anche imponendo di ripulire da cima a fondo i luogo in cui lavoravano (ma facendolo insieme a loro...) per poi ristrutturare tutto e proporre un "patto" sulla qualità ; Cercare tutti insieme di fare un buon lavoro per essere tutti più contenti di farlo.
Suona maniolativo e paternalistico e forse lo è .
Ma quelle persone appena si sono rese conto di avere davanti a loro un leader disposto ad ascoltarle e ad offrire appunto un "senso" lo hanno seguito. E sono stati più contenti dopo.
Cosa volevo dire con tutto ciò?
Il Ghezzi di "cose mai viste" su Raitre è un autentico sciroccato, ma dice una cosa bellissima sul cinema, che fa più o meno così "il cinema è meraviglioso quando intrappola dentro di se frammenti di realtà"
Ecco, anche un programma apparentemente banale e leggero come "Tabatha mani di forbice" ha intrappolato, (probabilmente senza rendersene conto) dentro di se frammenti di realtà, profonda, autentica.
E' per queste epifanie che nonostante tutto continuo a trovare la televisione un mezzo straordinario per raccontare il reale.
E quando dico reale dico qualunque livello.
In una scena di "Videocracy" Il regista cattura una selezione/audizione per aspiranti veline in un centro commerciale di rozzano, milano.
Vita. Vita vera al suo meglio, nella sua abiezione, ma comunque vita.
Ma questa è materia per il prossimo post....


the searcher.

lunedì 12 luglio 2010

intimate network




Niccolò Fabi, il cantante, ha dato annuncio della morte della sua bambina di due anni
su facebook, poche ore dopo la tragedia.
Sono molto colpito da questo episodio... voglio maneggiarlo con cura, ma provare a rifletterci.
Un ricercatore mio amico esperto di media, mi ha spiegato che quello che stiamo imparando a fare nell'era contemporanea è "vendere" pezzi della nostra privacy.
Probabilmente l'atto di nascita di questa tendenza sono stati i reality televisivi. Seguiti dai social network, e poi dal social network per eccellenza. Facebook appunto.
Mentre Flickr, Youtube, Myspace si muovono intorno ad un interesse comune che coagula una comunità; la musica, la fotografia, i video. E l'attenzione si accende verso chi carica canzoni o video o foto particolarmente significativi o interessanti, facebook è un palcoscenico in cui si mette in scena il racconto del proprio  quotidiano, così come esso è.
L'affinità con i reality è che non si deve avere cose particolarmente interessanti da dire o mostrare (per quello ci sono i blog..) per aprire una pagina.
La si apre su di un elenco telefonico enormemente evoluto,  che racconta chi siamo giorno per giorno.
Ma mentre la grande maggioranza degli avvenimenti che di solito si sceglie di condividere sono "leggeri" o toccano comunque le corde del tempo libero, del proprio lavoro, dei ricordi di liceo, qui abbiamo una persona che in un tempo molto breve decide di offrire ad un social network un dolore profondissimo e molto privato.
Ci tengo molto a dirvi che non sto esprimendo giudizi morali né manifesti né larvati.
Oltretutto Fabi è un musicista, una figura pubblica, quello che gli succede ha riflessi anche nella sua vita d'artista. Banalmente il fatto che si fermerà per un pò. Che magari certi concerti ed eventi saranno annullati.  Ecco, Niccolò Fabi ha sentito Facebok come uno spazio così "intimo" da preferirlo, per dare la notizia ai fan ed agli amici ad un comunicato stampa, oppure ad un comunicato del proprio manager o casa discografica, magari anche per evitare distorsioni, inesattezze.
Resta il gesto. Che non riesco a non trovare fortemente significativo e in qualche modo anticipatorio.
Significa che stiamo facendo un passo ulteriore e ben più profondo nell'uso della rete per condividere parti di noi?
La rappresentazione di noi stessi che offriamo, si sta arricchendo di capitoli finora lasciato fuori?
I nostri dolori, le nostre paure, le nostre inadeguatezze...
Magari tra anni sarà normale facebook come spazio di autoanalisi,
una specie di open source di soluzioni o riflessioni analitico/psicologiche,
così come adesso abbiamo forum per risolvere problemi di software.
Potrebbe succedere? E' un bene o un male? O semplicemente come scrivo spesso "è".

Se vi sembra eccessiva questa divagazione concludo con questo dato.
Un artista contemporaneo,  ha disposto la registrazione di ogni giorno della sua vita fino alla sua morte. Le immagini, una volta deceduto saranno l'opera stessa.

Come in altri post non voglio dare risposte, semmai condividere domande.
Se qualcuno vuole farlo con me...


the searcher

domenica 11 luglio 2010

non siamo mai stati sulla luna



Una amico con cui lavoro, un creativo con molta esperienza ed anche una brava persona, mi spiegava compunto che nel deserto non so dove,  ci sono enormi strutture che sparano raggi nel cielo con lo scopo di modificare il clima. Ovunque e come lo si desideri. Lo diceva con la naturalezza che sfidava il mio scetticismo, poi, con l'aria di saperla lunga mi faceva capire che erano per forza gli americani.... spiegandomi  con una punta di paternalismo che poter fare piovere settimane, mesi su un certo paese è un arma di coercizione fortissima...
Mah.
Mi sono immaginato Obama che tempesta di monsoni la corea del nord, mentre kim yong il trasforma il nord america in un deserto nucleare.  Ottima tattica evidentemente.
Ho provato ad argomentare... immaginato il denaro necessario, il luogo, che deve restare segreto pur coinvolgendo migliaia di persone, il costi. Insomma ho provato a ragionare.
Ma non c'è stato verso.
Questo collega non è uno sprovveduto.  Ha un età,  ha girato il mondo per lavoro, fa il regista ed ha certamente conosciuto esseri umani brillanti e arguti,  eppure non riesce neppure lui a sfuggire al fascino del luogo comune complottista....
dimenticavo... è ovviamente convinto che non siamo mai stati sulla luna.
Un fotografo, mi spiegava invece di aver saputo da fonte sicura (un medico...)  che le multinazionali del petrolio sono anche proprietarie delle case farmaceutiche, che i vaccini per guarire tumori, aids ecc ci sono ma non li fanno uscire per continuare a fare proventi con i farmaci.... anche lui ammiccava fiero della nuova spiegazione sugli equilibri del mondo che ci aveva appena dato.
Un segno della regressione della società può essere questa incapacità di vederla per quello che è?
Ho sempre detestato il complottismo. Cela insicurezza e vanità.
Infatti assicura  a chi lo fa due risultati.
Sentirsi uno che la sa lunga, cosa che tutti adoriamo fare e regredire con comodità ad una fase
pre-puberale, al bambino a cui bastano le risposte dei genitori per capire tutto.
E' come se crescendo la mia generazione (40/50), forse perchè derubata del mondo bellissimo che gli avevano promesso, abbia provato ad evitare l'elaborazione del lutto  che passa attraverso la consapevolezza di come stanno le cose,  abbandonandosi nelle mani di qualunque complottista, pur di non sentirsi dire che il mondo è quello che è. semplicemente.
E che nessun roveto ardente verrà a spiegarci la verità ultima.
Possibile che sia così difficile diventare adulti? Ammettere l'esistenza del caso, dell'ingiustizia, immaginare che le azioni umane sono spesso caotiche contraddittorie, slegate le une dalle altre, che una tragedia può nascere e costruirsi anche grazie ad omissioni, dimenticanze, autentiche stupidaggini?
E poi questa necessità morbosa di immaginare che le cose non stanno mai come ce le raccontano. Che noi non siamo così banali da credere a quello che si legge sui media, o credere a quello che la gente semplicemente FA.
Bisogna sentirsi speciali e (soprattutto)  innocenti. Sapere cose che nessuno sa e che spiegano in una frase secoli di errori e inadempienze. Pigrizia intellettuale  ed eccesso di auto-stima .... un cocktail  micidiale.
Questa deformazione ne sottende altre... Incapacità di arrendersi al proprio destino fatto di successi e fallimenti, desideri mai esauditi e mediocrità personali. incapacità di elaborare una corretta e schietta immagine di se. (e forse mi aspetto molto... chi ci riesce dopotutto)
E per finire un terzo, impagabile vantaggio.
La grande trama occulta che impedisce di risolvere la fame in africa è in fondo la stessa che (confusamente sentono che è così)  ha impedito loro di diventare rockstar, presentatore, miliardario, pompiere scelto.
Siamo tutti parte di un disegno segreto, burattini di un gioco più grande di noi.
E' sempre colpa di qualcun'altro.
Soprattutto, non è mai colpa nostra.



per approfondire sulla luna:
complotti lunari

lunedì 28 giugno 2010

il re è poco vestito








oggi sul corriere succede l'incredibile. 
galli della loggia (nell'articolo che riporto qui in fondo)  finalmente coglie il punto e dice che il re è (quasi) nudo.
Mi rammarica il mio scarso tempismo... da molto volevo scrivere un post su la vera colpa del berlusconismo di questa legislatura. E cioè la sua totale mancanza di azione di governo (se non finalizzata al riparo dei guasti personali del premier) e la diarchia ormai palese tra berlusconi e tremonti, ormai primo ministro ombra di questo compagine. 
Mi sembrava davvero evidente in modo marchiano che il problema di berlusconi non è nemmeno più il conflitto di interessi, ma la sua incapacità a governare. 
finalmente anche un moderato come galli della loggia non ce la fa più e lo dice.
Un segnale interessante di stanchezza. A cui unirei la maggiore aggressività della Marcegaglia, da non sottovalutare. 
Ecco io vado oltre e il mio post a lungo rimuginato lo scrivo ora.  

Io credo che belusconi non governi bene per un motivo semplice. 
SI annoia.
La sua formazione aziendale emerge sempre più evidente. Come funziona di solito nell'industria?  Un manager conclude un accordo di massima (" mi compro la Chrysler"...) poi gli sherpa definiscono e risolvono la marea di problemi tecnico/finanziari necessari alla finalizzazione. Il top manger non se ne occupa. Lui vola alto, ha avuto la "vision"... 
In politica non è così. In quella melma di distinguo, emendamenti, frenate e ripartenze sta il cuore di un azione di governo. 
E questo al nostro da un profondo fastidio. Lo irrita. Gli sembra di perdere tempo in scemenze. NON GLI PIACE. Non piace al bambino che vuole solo divertirsi che è in lui. 
Io non credo affatto che il cavaliere sia sceso in politica "solo" per salvare le sue aziende. Era di certo vero all'inizio.
Credo che poi si sia fatto conquistare dalla politica si, ma non come azione quotidiana, bensì come apparato simbolico. Il ruolo, la "job title" lo affascina da sempre....e infatti spesso parla di se in terza persona riferendosi al "presidente del consiglio". Una frase tipo? 
"In un paese civile il presidente del consiglio non dovrebbe subire attacchi simili..." ecc ecc. Fascinato com'è dai titoli nella loro astrattezza, li considera un paravento inscalfibile dietro al quale chiunque può essere mondato da qualunque peccato. Figuriamoci lui che invece si attribuisce solo meriti. 
Ho già spiegato in un altro post come secondo me sia evidente in berlusconi i complesso di inferiorità del parvenu e di conseguenza Il fascino per i ruoli appunto più simbolici che fattivi. Una struttura valoriale, la sua fatta delle più trite ideologie anni 50. Il denaro, le belle donnine, l'autorità che è valida in quanto tale. Credo addirittura che la battaglia ai giudici sia stata fatta con un fondo di dispiacere. 
Di certo la sua avventura di governo è "la prosecuzione della televisione con altri mezzi" parafrasando Von Clausewitz. 
Dopo il simbolismo dell'imprenditore di successo, e quello del grande dirigente sportivo approda alla politica che crede il luogo privilegiato per passare alla storia. Vera ossessione di tutti gli inadeguati.  
Qui immagino scopra la differenza sostanziale col gli altri "mestieri" fatti. La politica non gli piace. Certo ama alla follia la campagna elettorale, che è una tournèe in cui (di nuovo) l'apparato scenico gli è familiare. 
I comizi pubblici di berlusconi e i suoi show del sabato sera su canale 5 sono molto simili. 
Strutture controllate e liturgie di spettacolo pianificate nei dettagli per un occhio "esterno" già previsto. La tv.
Berlusconi si comporta SEMPRE come fosse filmato. SI comporta SEMPRE come in una registrazione che andrà poi in onda. La realtà per lui NON E' quel momento. Ma le immagini che "riprodurranno" quel momento. 
Non conta il comizio. Conta il racconto del comizio...
Lui è così. E' un televisivo dentro. E grazie a questa percezione ha sbaragliato i politici di vecchia scuola. 
Oppure preferisce l'epopea del dirigente sportivo....  dove appunto la struttura di governance è semplice. "Compro i migliori giocatori del mondo, il migliore allenatore, do comunque la formazione e vinco." 
Oltre certe complessità berlusconi non è che non regge. 
Si annoia a morte. 
Una prova del 9 di questa attitudine credo sia infatti nel suo desiderio politico più grande. Diventare presidente della repubblica. 
Un ruolo che gli è assolutamente congeniale. Di rappresentanza, legato alla interpretazione degli umori e pulsioni del paese ma non operativo. 
Tutti i vantaggi dell'apparato simbolico politico, senza gli svantaggi dell 'azione politica. Di più! L'azione politica è comunque guidata attaverso un primo ministro di sua fiducia, (gianni letta). E grazie a questo ogni successo del governo sarebbe un suo successo (ce l'ho messo io...)  ogni  sconfitta un sconfitta del governo (io sono super partes che c'entro..) Praticamente il suo nirvana esistenziale.
Per concludere la politica vera ha agli occhi di Berlusconi, eterno venditore di provincia, un altro imperdonabile difetto. Quello di entusiasmare certuni e deludere implacabilmente altri. 
E questo Berlusconi non può tollerarlo. La sua insicurezza profonda e nascosta chiede una sola cosa. 
Essere amato. 
Da tutti. 
Ecco perchè l'ultimo baluardo è il quirinale. 
Chi ha il coraggio di detestare il Presidente Della Repubblica? 


the searcher


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La necessità di un colpo d’ala

Parlare di crisi finale di Berlusconi e del berlusconismo è senz’altro azzardato. Niente lascia credere, infatti, che se tra sei mesi ci fossero le elezioni politiche il Cavaliere non riuscirebbe per l’ennesima volta a riportare la vittoria. In un modo quale che sia, ricorrendo alle offerte elettorali più irreali, radunando le forze più diverse, gli uomini (e le donne) più improbabili, ma chi può dire che non ci riuscirebbe?
Se però il futuro appare incerto, il presente invece non lo è per nulla. Dopo due anni alla testa di un’enorme maggioranza parlamentare il governo Berlusconi può vantare, al di là della gestione positiva della crisi economica, un elenco di risultati che dire insoddisfacente è dire poco. Inauguratosi con l’operazione «Napoli pulita» esso si trova oggi davanti ad un’altra capitale del Mezzogiorno, Palermo, coperta di rifiuti, ridotta ad un cumulo d’immondizia, mentre l’uomo del miracolo precedente e dell’emergenza terremoto, Bertolaso, è assediato dalle inchieste giudiziarie.
Il simbolo di un fallimento non potrebbe essere più evidente. Ma c’è ben altro. C’è l’elenco lunghissimo delle promesse non mantenute: elenco che la difficile situazione economica e i grandi successi nella lotta al crimine organizzato non sono certo in grado di compensare. C’è la riforma della giustizia con la separazione delle carriere dei magistrati ancora di là da venire; ci sono le liberalizzazioni (a cominciare da quella degli ordini professionali) di cui non si è vista traccia; c’è il piano casa e delle grandi infrastrutture pubbliche a tutt’oggi sulla carta; la costruzione dei termovalorizzatori, idem.
La promessa semplificazione delle norme e delle procedure amministrative è rimasta in gran parte una promessa; la riforma universitaria ha ancora davanti a sé un iter parlamentare lunghissimo e quanto mai incerto; delle norme sulle intercettazioni meglio non dire; e infine pesa sull’Italia come prima, come sempre, la vergogna della pressione e insieme dell’evasione fiscali più alte del continente.
Una tale inadempienza programmatica è il risultato in buona parte dell’incapacità di leadership da parte del premier. Nel merito dei problemi che non lo riguardano in prima persona Berlusconi, infatti, continua troppo spesso ad apparire incerto, assente, più incline ai colpi di teatro, alle dichiarazioni mirabolanti ma senza seguito, che ad una fattiva operosità d’uomo di governo. In questa situazione lo stesso controllo che egli dovrebbe esercitare sul proprio schieramento è diventato sempre più aleatorio. Benché con modi e scopi diversi Fini, Bossi e Tremonti dimostrano, infatti, di avere ormai guadagnato su di lui una fortissima capacità di condizionamento. Riguardo le cose da fare ne risulta la paralisi o il marasma più contraddittorio.
Anziché governare le decisioni, il presidente del Consiglio sembra galleggiare sul mare senza fine delle diatribe interne al suo schieramento. E nel frattempo dalla cerchia dei fedelissimi, dove pure qualche intelligenza e qualche personalità autonoma esiste, continua a non venire mai alcun discorso d’ordine generale, continua a non venire mai nulla che abbia il tono alto e forte della politica vera. Il silenzio del Pdl che non si riconosce in Fini è impressionante. Ad occupare il proscenio rimangono così, oltre l’eterno conflitto d’interessi del premier, solo i ministri ridicoli (Scajola) o impresentabili (Brancher), il giro degli avidi vegliardi delle Authority, le inutili intolleranze verso gli avversari. Dov’è finita la rivoluzione liberale di cui il Paese ha bisogno?

sabato 19 giugno 2010

dove sono gli intellettuali?




ho appena sentito in radio una intervista ad una anziana scrittrice, purtroppo non ne ho sentito il nome.
Di slancio, di nuovo, torno su un tema che mi  affligge. L'incapacità di leggere il presente che attanaglia molta intellighenzia attuale.  Da quella musicale alla culturale "alta".
Gli esempi si moltiplicano....
I commenti di giorgio bocca tornano invariabilmente sul suo leit motiv ormai ossessivo di quanto il mondo sia senza ritorno.  In un recente editoriale si è vantato di accendere il computer solo per scrivere il proprio articolo, di non collegarlo mai e dico mai alla rete e di spegnerlo subito dopo per fare altro.
Ha parlato poi di figli e nipoti che dialogano col mondo attraverso il web, senza spingersi all'impudenza di dire che era meglio quando si studiava sugli almanacchi, ma ci è riuscito solo attraverso un autocontrollo titanico. E nemmeno tanto bene. Tra le righe (i grandi giornalisti sono bravi in questo) non era difficile capire chi considerasse più furbo.
Arbasino ci spiegava sul corriere un mese fa, quante cose interessanti e di qualità si potessero fare nei 60, dalla scala al teatro, dai cenacoli intellettuali agli studi degli artisti. E giù a sciorinare nomi oggi famosissimi e monumentali, ma che allora erano spesso sconosciuti o eretici.
Sotto inteso, non come nella milano di oggi. Che non offre niente di tutto questo.
Umberto Eco ci spiega infine che il telefonino è una puttanata e che lui lo usa solo per chiamare il taxi. Poi lo lascia a casa.
La scrittrice alla radio cita le due grandi catastrofi della società italiana.
Lo sfascio della famiglia e il femminismo, che ha confuso i ruoli del maschio e della femmina rendendoli più soli.
Anche in lei il fastidio larvato per il femminismo anni '70 era molto percepibile, e il suo non detto in fondo era un amarcord sulla bella famiglia italiana e sulle donne che fanno le donne e gli uomini veri uomini. Una versione sofisticatissima della chiacchiera da bar. Appoggiata con voce da Cassandra del terzo millennio.
Cosa succede?
Cosa succede ai soi disant intellettuali?
Nei '70 gli intellettuali non giustificavano il gap generazionale certo,  ma almeno lo "studiavano"!
Lo indagavano con gli strumenti critici propri della cultura.
Oggi la boria, la sindrome dei "nostri bei tempi" è diventata un vezzo da esibire.
Gli scrittori, gli artisti, i musicisti adulti e anziani bocciano senza speranza il nuovo che avanza in ogni campo. Dalla tecnologia, che odiano perchè non riescono a capirla, alle nuove abitudini culturali, sociologiche e perfino sessuali!
Ma che mondo è quello che ci chiedono Arbasino, Eco, Bocca? Di che mondo parlano?
Vediamolo!
Ci vorrebbero sposati a vita a persone che magari detestiamo per onorare l'idea morale di famiglia.
Ostili alla rete ed alle sue possibilità e ancorati alla biblioteca, al libro cartaceo, come se una cosa escludesse l'altra! Senza sapere che il massimo editore al mondo probabilmente è amazon...
Ci vorrebbero senza telefonino. A girare per la città e infilarsi nelle cabine telefoniche, così comode...
e poi mogli e madri, e uomini che facciano gli uomini e portino a casa lo stipendio!
E per Arbasino infine, dovremmo andare alla scala, o a sentire Arturo benedetti Michelangeli il grande pianista, certo. E liquidare così i 50 anni di cultura popolare che hanno rappresentato la musica leggera o il cinema.
Snobismi, superficialità.
Certo le mie sono semplificazioni, esagerazioni ma svelano la povertà dell'analisi fatta!
Ed anche la spocchia perdiana. Per Umberto Eco deve essere facile non usare il cellulare, con un esercito di segretarie pronte a rintracciarlo ovunque.
Ma forse per un rappresentante di commercio non dover passare la giornata a caccia di cabine telefoniche e lavorare dalla propria auto grazie ad un cellulare e ad un microfono forse è un vero miglioramento. Forse è qualità di vita! O no?
Faccio del populismo? Eccome se lo faccio! E una volta erano gli stessi intellettuali a farlo.
Ma nel farlo sapevano darci chiavi di lettura della società, saldare passato e presente, farci "capire" il contesto.
Sciascia, in " a ciascuno il suo", fa dire al professor Laurana, un  disincantato insegnate di italiano (interpretato meravigliosamente al cinema da Gian Maria Volontè) questa frase;
"L'italiano non è l'italiano. E' il capire!"
Ecco, il capire.
Sono colpito e dolorosamente dal rifiuto di voler capire di tante menti brillanti.
Costretto a vedere i 30enni  prendersi la responsabilità di spiegare la propria generazione, mentre una volta questa comprensione scaturiva dal confronto dialettico tra loro e i "vecchi".
Ora i vecchi preferiscono giudicare piuttosto che studiare. Usare i visceri e non la testa.
E di nuovo i ragazzi devono prendere ad esempio Pier Paolo Pasolini e la sua incapacità di essere elite.
Citarlo nelle canzoni e nei discorsi, aggrapparvisi come ad un padre nobile.
Ed ecco che citandolo ricordiamo un altra dote che lui possedeva e gli intellettuali di oggi hanno smarrito.
La scomodità.

the searcher