lunedì 28 giugno 2010

il re è poco vestito








oggi sul corriere succede l'incredibile. 
galli della loggia (nell'articolo che riporto qui in fondo)  finalmente coglie il punto e dice che il re è (quasi) nudo.
Mi rammarica il mio scarso tempismo... da molto volevo scrivere un post su la vera colpa del berlusconismo di questa legislatura. E cioè la sua totale mancanza di azione di governo (se non finalizzata al riparo dei guasti personali del premier) e la diarchia ormai palese tra berlusconi e tremonti, ormai primo ministro ombra di questo compagine. 
Mi sembrava davvero evidente in modo marchiano che il problema di berlusconi non è nemmeno più il conflitto di interessi, ma la sua incapacità a governare. 
finalmente anche un moderato come galli della loggia non ce la fa più e lo dice.
Un segnale interessante di stanchezza. A cui unirei la maggiore aggressività della Marcegaglia, da non sottovalutare. 
Ecco io vado oltre e il mio post a lungo rimuginato lo scrivo ora.  

Io credo che belusconi non governi bene per un motivo semplice. 
SI annoia.
La sua formazione aziendale emerge sempre più evidente. Come funziona di solito nell'industria?  Un manager conclude un accordo di massima (" mi compro la Chrysler"...) poi gli sherpa definiscono e risolvono la marea di problemi tecnico/finanziari necessari alla finalizzazione. Il top manger non se ne occupa. Lui vola alto, ha avuto la "vision"... 
In politica non è così. In quella melma di distinguo, emendamenti, frenate e ripartenze sta il cuore di un azione di governo. 
E questo al nostro da un profondo fastidio. Lo irrita. Gli sembra di perdere tempo in scemenze. NON GLI PIACE. Non piace al bambino che vuole solo divertirsi che è in lui. 
Io non credo affatto che il cavaliere sia sceso in politica "solo" per salvare le sue aziende. Era di certo vero all'inizio.
Credo che poi si sia fatto conquistare dalla politica si, ma non come azione quotidiana, bensì come apparato simbolico. Il ruolo, la "job title" lo affascina da sempre....e infatti spesso parla di se in terza persona riferendosi al "presidente del consiglio". Una frase tipo? 
"In un paese civile il presidente del consiglio non dovrebbe subire attacchi simili..." ecc ecc. Fascinato com'è dai titoli nella loro astrattezza, li considera un paravento inscalfibile dietro al quale chiunque può essere mondato da qualunque peccato. Figuriamoci lui che invece si attribuisce solo meriti. 
Ho già spiegato in un altro post come secondo me sia evidente in berlusconi i complesso di inferiorità del parvenu e di conseguenza Il fascino per i ruoli appunto più simbolici che fattivi. Una struttura valoriale, la sua fatta delle più trite ideologie anni 50. Il denaro, le belle donnine, l'autorità che è valida in quanto tale. Credo addirittura che la battaglia ai giudici sia stata fatta con un fondo di dispiacere. 
Di certo la sua avventura di governo è "la prosecuzione della televisione con altri mezzi" parafrasando Von Clausewitz. 
Dopo il simbolismo dell'imprenditore di successo, e quello del grande dirigente sportivo approda alla politica che crede il luogo privilegiato per passare alla storia. Vera ossessione di tutti gli inadeguati.  
Qui immagino scopra la differenza sostanziale col gli altri "mestieri" fatti. La politica non gli piace. Certo ama alla follia la campagna elettorale, che è una tournèe in cui (di nuovo) l'apparato scenico gli è familiare. 
I comizi pubblici di berlusconi e i suoi show del sabato sera su canale 5 sono molto simili. 
Strutture controllate e liturgie di spettacolo pianificate nei dettagli per un occhio "esterno" già previsto. La tv.
Berlusconi si comporta SEMPRE come fosse filmato. SI comporta SEMPRE come in una registrazione che andrà poi in onda. La realtà per lui NON E' quel momento. Ma le immagini che "riprodurranno" quel momento. 
Non conta il comizio. Conta il racconto del comizio...
Lui è così. E' un televisivo dentro. E grazie a questa percezione ha sbaragliato i politici di vecchia scuola. 
Oppure preferisce l'epopea del dirigente sportivo....  dove appunto la struttura di governance è semplice. "Compro i migliori giocatori del mondo, il migliore allenatore, do comunque la formazione e vinco." 
Oltre certe complessità berlusconi non è che non regge. 
Si annoia a morte. 
Una prova del 9 di questa attitudine credo sia infatti nel suo desiderio politico più grande. Diventare presidente della repubblica. 
Un ruolo che gli è assolutamente congeniale. Di rappresentanza, legato alla interpretazione degli umori e pulsioni del paese ma non operativo. 
Tutti i vantaggi dell'apparato simbolico politico, senza gli svantaggi dell 'azione politica. Di più! L'azione politica è comunque guidata attaverso un primo ministro di sua fiducia, (gianni letta). E grazie a questo ogni successo del governo sarebbe un suo successo (ce l'ho messo io...)  ogni  sconfitta un sconfitta del governo (io sono super partes che c'entro..) Praticamente il suo nirvana esistenziale.
Per concludere la politica vera ha agli occhi di Berlusconi, eterno venditore di provincia, un altro imperdonabile difetto. Quello di entusiasmare certuni e deludere implacabilmente altri. 
E questo Berlusconi non può tollerarlo. La sua insicurezza profonda e nascosta chiede una sola cosa. 
Essere amato. 
Da tutti. 
Ecco perchè l'ultimo baluardo è il quirinale. 
Chi ha il coraggio di detestare il Presidente Della Repubblica? 


the searcher


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La necessità di un colpo d’ala

Parlare di crisi finale di Berlusconi e del berlusconismo è senz’altro azzardato. Niente lascia credere, infatti, che se tra sei mesi ci fossero le elezioni politiche il Cavaliere non riuscirebbe per l’ennesima volta a riportare la vittoria. In un modo quale che sia, ricorrendo alle offerte elettorali più irreali, radunando le forze più diverse, gli uomini (e le donne) più improbabili, ma chi può dire che non ci riuscirebbe?
Se però il futuro appare incerto, il presente invece non lo è per nulla. Dopo due anni alla testa di un’enorme maggioranza parlamentare il governo Berlusconi può vantare, al di là della gestione positiva della crisi economica, un elenco di risultati che dire insoddisfacente è dire poco. Inauguratosi con l’operazione «Napoli pulita» esso si trova oggi davanti ad un’altra capitale del Mezzogiorno, Palermo, coperta di rifiuti, ridotta ad un cumulo d’immondizia, mentre l’uomo del miracolo precedente e dell’emergenza terremoto, Bertolaso, è assediato dalle inchieste giudiziarie.
Il simbolo di un fallimento non potrebbe essere più evidente. Ma c’è ben altro. C’è l’elenco lunghissimo delle promesse non mantenute: elenco che la difficile situazione economica e i grandi successi nella lotta al crimine organizzato non sono certo in grado di compensare. C’è la riforma della giustizia con la separazione delle carriere dei magistrati ancora di là da venire; ci sono le liberalizzazioni (a cominciare da quella degli ordini professionali) di cui non si è vista traccia; c’è il piano casa e delle grandi infrastrutture pubbliche a tutt’oggi sulla carta; la costruzione dei termovalorizzatori, idem.
La promessa semplificazione delle norme e delle procedure amministrative è rimasta in gran parte una promessa; la riforma universitaria ha ancora davanti a sé un iter parlamentare lunghissimo e quanto mai incerto; delle norme sulle intercettazioni meglio non dire; e infine pesa sull’Italia come prima, come sempre, la vergogna della pressione e insieme dell’evasione fiscali più alte del continente.
Una tale inadempienza programmatica è il risultato in buona parte dell’incapacità di leadership da parte del premier. Nel merito dei problemi che non lo riguardano in prima persona Berlusconi, infatti, continua troppo spesso ad apparire incerto, assente, più incline ai colpi di teatro, alle dichiarazioni mirabolanti ma senza seguito, che ad una fattiva operosità d’uomo di governo. In questa situazione lo stesso controllo che egli dovrebbe esercitare sul proprio schieramento è diventato sempre più aleatorio. Benché con modi e scopi diversi Fini, Bossi e Tremonti dimostrano, infatti, di avere ormai guadagnato su di lui una fortissima capacità di condizionamento. Riguardo le cose da fare ne risulta la paralisi o il marasma più contraddittorio.
Anziché governare le decisioni, il presidente del Consiglio sembra galleggiare sul mare senza fine delle diatribe interne al suo schieramento. E nel frattempo dalla cerchia dei fedelissimi, dove pure qualche intelligenza e qualche personalità autonoma esiste, continua a non venire mai alcun discorso d’ordine generale, continua a non venire mai nulla che abbia il tono alto e forte della politica vera. Il silenzio del Pdl che non si riconosce in Fini è impressionante. Ad occupare il proscenio rimangono così, oltre l’eterno conflitto d’interessi del premier, solo i ministri ridicoli (Scajola) o impresentabili (Brancher), il giro degli avidi vegliardi delle Authority, le inutili intolleranze verso gli avversari. Dov’è finita la rivoluzione liberale di cui il Paese ha bisogno?

sabato 19 giugno 2010

dove sono gli intellettuali?




ho appena sentito in radio una intervista ad una anziana scrittrice, purtroppo non ne ho sentito il nome.
Di slancio, di nuovo, torno su un tema che mi  affligge. L'incapacità di leggere il presente che attanaglia molta intellighenzia attuale.  Da quella musicale alla culturale "alta".
Gli esempi si moltiplicano....
I commenti di giorgio bocca tornano invariabilmente sul suo leit motiv ormai ossessivo di quanto il mondo sia senza ritorno.  In un recente editoriale si è vantato di accendere il computer solo per scrivere il proprio articolo, di non collegarlo mai e dico mai alla rete e di spegnerlo subito dopo per fare altro.
Ha parlato poi di figli e nipoti che dialogano col mondo attraverso il web, senza spingersi all'impudenza di dire che era meglio quando si studiava sugli almanacchi, ma ci è riuscito solo attraverso un autocontrollo titanico. E nemmeno tanto bene. Tra le righe (i grandi giornalisti sono bravi in questo) non era difficile capire chi considerasse più furbo.
Arbasino ci spiegava sul corriere un mese fa, quante cose interessanti e di qualità si potessero fare nei 60, dalla scala al teatro, dai cenacoli intellettuali agli studi degli artisti. E giù a sciorinare nomi oggi famosissimi e monumentali, ma che allora erano spesso sconosciuti o eretici.
Sotto inteso, non come nella milano di oggi. Che non offre niente di tutto questo.
Umberto Eco ci spiega infine che il telefonino è una puttanata e che lui lo usa solo per chiamare il taxi. Poi lo lascia a casa.
La scrittrice alla radio cita le due grandi catastrofi della società italiana.
Lo sfascio della famiglia e il femminismo, che ha confuso i ruoli del maschio e della femmina rendendoli più soli.
Anche in lei il fastidio larvato per il femminismo anni '70 era molto percepibile, e il suo non detto in fondo era un amarcord sulla bella famiglia italiana e sulle donne che fanno le donne e gli uomini veri uomini. Una versione sofisticatissima della chiacchiera da bar. Appoggiata con voce da Cassandra del terzo millennio.
Cosa succede?
Cosa succede ai soi disant intellettuali?
Nei '70 gli intellettuali non giustificavano il gap generazionale certo,  ma almeno lo "studiavano"!
Lo indagavano con gli strumenti critici propri della cultura.
Oggi la boria, la sindrome dei "nostri bei tempi" è diventata un vezzo da esibire.
Gli scrittori, gli artisti, i musicisti adulti e anziani bocciano senza speranza il nuovo che avanza in ogni campo. Dalla tecnologia, che odiano perchè non riescono a capirla, alle nuove abitudini culturali, sociologiche e perfino sessuali!
Ma che mondo è quello che ci chiedono Arbasino, Eco, Bocca? Di che mondo parlano?
Vediamolo!
Ci vorrebbero sposati a vita a persone che magari detestiamo per onorare l'idea morale di famiglia.
Ostili alla rete ed alle sue possibilità e ancorati alla biblioteca, al libro cartaceo, come se una cosa escludesse l'altra! Senza sapere che il massimo editore al mondo probabilmente è amazon...
Ci vorrebbero senza telefonino. A girare per la città e infilarsi nelle cabine telefoniche, così comode...
e poi mogli e madri, e uomini che facciano gli uomini e portino a casa lo stipendio!
E per Arbasino infine, dovremmo andare alla scala, o a sentire Arturo benedetti Michelangeli il grande pianista, certo. E liquidare così i 50 anni di cultura popolare che hanno rappresentato la musica leggera o il cinema.
Snobismi, superficialità.
Certo le mie sono semplificazioni, esagerazioni ma svelano la povertà dell'analisi fatta!
Ed anche la spocchia perdiana. Per Umberto Eco deve essere facile non usare il cellulare, con un esercito di segretarie pronte a rintracciarlo ovunque.
Ma forse per un rappresentante di commercio non dover passare la giornata a caccia di cabine telefoniche e lavorare dalla propria auto grazie ad un cellulare e ad un microfono forse è un vero miglioramento. Forse è qualità di vita! O no?
Faccio del populismo? Eccome se lo faccio! E una volta erano gli stessi intellettuali a farlo.
Ma nel farlo sapevano darci chiavi di lettura della società, saldare passato e presente, farci "capire" il contesto.
Sciascia, in " a ciascuno il suo", fa dire al professor Laurana, un  disincantato insegnate di italiano (interpretato meravigliosamente al cinema da Gian Maria Volontè) questa frase;
"L'italiano non è l'italiano. E' il capire!"
Ecco, il capire.
Sono colpito e dolorosamente dal rifiuto di voler capire di tante menti brillanti.
Costretto a vedere i 30enni  prendersi la responsabilità di spiegare la propria generazione, mentre una volta questa comprensione scaturiva dal confronto dialettico tra loro e i "vecchi".
Ora i vecchi preferiscono giudicare piuttosto che studiare. Usare i visceri e non la testa.
E di nuovo i ragazzi devono prendere ad esempio Pier Paolo Pasolini e la sua incapacità di essere elite.
Citarlo nelle canzoni e nei discorsi, aggrapparvisi come ad un padre nobile.
Ed ecco che citandolo ricordiamo un altra dote che lui possedeva e gli intellettuali di oggi hanno smarrito.
La scomodità.

the searcher

martedì 15 giugno 2010

La Fiat e l'oceano


La fiat propone a pomigliano lavoro in cambio diritti.
Luciano gallino in un bellissimo articolo uscito  il 14 giugno su repubblica spiega che si e arrivato al momento tanto temuto. Non ai lavoratori che nei paesi a basso costo del lavoro ottengono condizioni pari a quelle dei paesi occidentali bensì il contrario. Agitando lo spettro della crisi si chiede a chi lavora in occidente di sottostare a ritmi e restrizioni dei diritti dei paesi meno tutelati.
Gallino spiega che il mercato dell'auto ha un surplus produttivo del 40%.
Significa che i produttori devono ingaggiare lotte selvagge per quote di mercato minime. E lo fanno nell'unico modo possibile, Con una guerra spietata sui prezzi, che si abbassano solo abbassando il costo del lavoro.
Il cerchio si chiude.
Il cerchio si chiude davvero?
Forse no.
C'è un bel libro di economia che si intitola "strategia oceano blu". Vediamo di cosa parla.
L'oceano rosso ha quel colore perchè saturo del sangue dei competitor. Sono mercati saturi in cui un  prodotto si differenzia dall'altro per particolari minimi, qualche benefit in più, il prezzo leggermente inferiore. È l'oceano in cui si deve spingere i consumatori a cambiare cose che a hanno già in nome di differenze che si spacciamo per sostanziali e sono invece risibili vi ricorda qualcosa? .. l'oceano blu invece è un mercato nuovo, vergine. Aperto da un innovatore in cui davvero si offre qualcosa di diverso e di inaspettato e dove si aprono oceani, appunto di spazio e di guadagno.
esempi?
le play station si combattono in un oceano rosso, a colpi di grafiche sempre più sofisticate, effetti sonori e speciali, complessità sempre più alte e prezzi in discesa.
Poi arriva WEE. ocano blu. Non conta nulla di quello che conta prima. Il gesto, dallo schiacciare istericamente dei pulsanti diventa quello reale del giocare a tennis o danzare. La grafica è basica ma non conta, conta lo spazio nuovo creato. Mentre i competitori si azzuffano interno ad una idea già sfruttata wee inventa una cosa nuova.
Cosa c'entra tutto questo con Fiat? C'entra e molto.
Possiamo combattere nel mercato saturo e vechio delle auto a carburante, lottando sui prezzi e strozzando le proprie fabbriche per proporre un prodotto vecchio con minime diversità dalle decine di macchine che già abbiamo posseduto.
Oppure cercare attraverso gli investimenti nell' innovazione e nella ricerca l'oceano blu del mercato dell'auto.
Quell'oceamo ha già un nome.... auto ibride, auto elettriche per esempio. Come Toyota che vende una bruttissima auto ad un altissimo prezzo, ma permettendoci per la prima volta un gesto davvero innovativo e, permettetemelo, critico nell'acquistare una vettura.
Pensate alla saldatura tra la nostra capacità di design e l'unica vera innovazione possibile nel campo dell'auto. Quante macchine così potremmo costruire a pomigliano? A quanto potremmo venderle?
Certo ora è troppo tardi.
Bisognava investire e lavorare su questo quando le possibilità c'erano. Ora la crisi le ha mangiate.
La fiat ha vissuto per 20 anni  della propria boria, e questi sono i risultati.
Non bisogna farsi ingannare, quella di Marchionne è e rimane una battaglia di retroguardia.
l'assenza di innovazione e ricerca sta mangiando i diritti di molti lavoratori italiani. La causa viene da molto lontano, e nessuna anima bella dovrebbe magnificare quello che sta succedendo a pomigliano, piuttosto fare una riflessione critica vera sulle sue cause.
Molte case automobilistiche hanno iniziato a presentare auto elettriche ai saloni internazionali. Sapete chi non ha ancora presentato neppure un prototipo?
Avete. Indovinato.

domenica 6 giugno 2010

when we were beautiful




Un bellissimo articolo di matteo persivale sul Corriere della Sera on line, che coglie nel profondo la crisi dei 40enni. 
Non avrei potuto scriverlo meglio. 
Quindi lo passo così com'è, segnalandovi anche il link per raggiungerlo. 





NOI, QUARANTENNI PER SBAGLIO - LE STORIE DI CHI FA FATICA A CONQUISTARE LA MATURITÀ

Generazione X in crisi di mezza età

Abbiamo usato il rifiuto di crescere come simbolo della diversità dai «vecchi». E ora tiriamo il (doloroso) bilancio




Perché a vent’anni la prospettiva di non diventare quello che sogni è fuori dal tuo radar. A trent’anni è la fonte di una ragionevole preoccupazione. A quaranta è la certezza di non avercela fatta: di essere passato dalla condizione di «troppo giovane» a quella di «troppo vecchio», perché neanche in un Paese a misura di sessantenne come l’Italia puoi pensare a quarant’anni di essere ancora considerato— complimenti a parte di qualche zia ben educata —giovane. Il New York Times recentemente ha scritto della «crisi precoce di mezza età» della Generazione X (quella dei nati, all’incirca, dal 1964 al 1979, immortalata da Douglas Coupland nell’omonimo libro edito in Italia da Mondadori) citando come esempio Greenberg, il film appena uscito negli Stati Uniti con Ben Stiller nei panni di un quarantenne musicista fallito costretto a vivere a casa del fratello: esempio da manuale di eterno adolescente che fa i conti con la morte delle speranze.
Secondo il New York Times, è la storia di una contraddizione: «Come può avere una crisi di mezza età la generazione che ha scelto come marchio culturale quello del rifiuto di crescere?». Una generazione il cui motto è «abbiamo fatto il possibile», e spesso a quarant’anni ha reso al di sotto delle aspettative (proprie e altrui). Chi non ha mai abbandonato l’adolescenza— per pigrizia o perché dava psicologicamente la garanzia di non diventare come i «vecchi» — compiuti i quaranta si trova a indossare le vesti della maturità in modo incerto. Un libro in uscita negli Stati Uniti, Imperial Bedrooms di Bret Easton Ellis, è il seguito, 25 anni dopo, di Meno di Zero (Einaudi) caposaldo della generazione X. Dopo tanto tempo, i personaggi di Ellis non sono cambiati per niente, frenati dai propri limiti: e uno di loro finisce pure squartato.
Almeno un altro romanzo generazionalmente importante,Indecisione di Benjamin Kunkel (pubblicato nel 2006 da Rizzoli) diceva le stesse cose mascherandole però con un apologo sulla «pillola che guarisce l’incertezza». Che esiste solo nella fantasia dell’autore, purtroppo. Il ritornello di «Loser» di Beck («Sono un perdente, baby, perché non mi abbatti?») fa ridere meno di quindici anni fa, e se il suo ultimo cd — come quello dei Beastie Boys—non ti è piaciuto non l’hai detto a nessuno, mentendo per lealtà verso i tuoi gusti di tanto tempo fa. I film di Wes Anderson, con quei tennisti bolliti e padri impresentabili (I Tenenbaum) e figli senza bussola (Il treno per il Darjeeling) ti fanno sorridere, ma con un amaro bonus di identificazione. Così resti solo, in coda alla cassa di un negozio di videogame, con la scomoda certezza di essere circondato da ragazzini delle medie e del liceo (che tra l’altro nelle partite online ti battono regolarmente), e c’è l’amica caritatevole che — credendo di fare un complimento — commenta i ciuffi bianchi sulle tue tempie con «l’uomo maturo ha il suo fascino» e tu pensi «maturo? », in più di un senso.
La maturità sta nell’occhio di chi guarda (dentro se stesso), specialmente per quelli che ambivano a essere diversi dalla generazione che li ha preceduti, con i suoi salti carpiati ideologici attraverso i decenni e l’attaccamento al potere (piccolo o grande) accumulato, e quelle nostalgie per l’Italia in bianco e nero di «Carosello» che per te potrebbe anche non essere mai esistita. Quel che hai cercato di fare, crescendo, è stato un tentativo: di essere un marito, un padre, un proprietario di casa con mutuo a tasso variabile diverso dai mariti, padri, eccetera che hai visto — e stimato poco— nella generazione precedente alla tua. Finché hai capito, durante una maratona notturna di videogame, che eri inumato nel divano di casa esattamente come loro e che il tentativo di trovare una via diversa al diventare adulto si è scontrato con la realtà dei tanti alibi che sei sempre stato bravo a trovare. Anche per questo, compiere quarant’anni per i recalcitranti professionisti della delusione è un’esperienza ancor meno gradevole di quanto lo sia stata per le generazioni precedenti: per ripararsi dalle conseguenze delle aspettative poco realistiche per il futuro, quando alla fine il futuro arriva, non basta neanche lo scudo dell’ironia, che come tutti sanno è l’arma dei deboli.
Matteo Persivale
05 giugno 2010





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