lunedì 15 marzo 2010

australia! capitolo2






nota_
per capire il senso di questo post
è meglio leggere prima il post precedente.





forse è meglio chiarire delle cose.
non vorrei che il mio blog precedente sembrasse un attacco alla generazione dei 30, che ha già molti problemi senza che mi ci metta anche io a tirargli contro.
Che ci sia un problema di posti di lavoro e di salari bassi, non all'altezza dei costi della vita quotidiana in italia non devo essere io a spiegarlo.
Quello che mi colpisce (e mi ha colpito nell'articolo del corriere) è quanto molti ragazzi equiparino la possibilità di svolgere un lavoro "creativo" o in ambiti creativi a lavori che si ottengono in altre categorie come se non ci fossero distinzioni.  Come se imparare ad fare il farmacista ed imparare a fare il copy di agenzia fosse la stessa cosa, stesso percorso, stessa assunzione garantita. Mentre il primo è un lavoro di nozioni da apprendere, il secondo di suggestioni da imparare a creare.
Oggi è difficile trovare lavoro in qualunque settore. In un settore glamour come la comunicazione poi,  vero grande desiderio proibito del decennio è diventato proibitivo.
LA selezione è durissima e si basa sul possesso di un pre-requisito minimo, avere fatto una scuola di settore. Requisito  che garantisce al più un 5% delle competenze necessarie. Le altre sono evanescenti e già intrinseche nel suo possessore o diversamente, impossibili da trovare: talento per la comunicazione, curiosità intellettuale onnivora, gusto, capacità di scrittura e sintesi, ma anche capacità organizzative, doti di leadership naturali, doti da venditore e il tutto condito da modi impeccabile  e la capacità di essere sempre sotto controllo in qualunque situazione di pressione e stress.
Fare creatività o comunicazione non è un mestiere per signorine, è un luogo in cui nonostante tutto la meritocrazia ancora resiste e in cui la tenacia e la dedizione sono armi importanti tanto quanto il talento.
Uno dei grandi equivoci di questi decenni è stata la costruzione di lauree in materie che sono fatte (cito shakespeare) "della stessa materia dei sogni".
Ci sono lauree in comunicazione, in regia, corsi di scrittura creativa ecc.
La parola laurea genera nei ragazzi ancora oggi per il suo valore sacrale, un cortocircuito logico, per cui da essa deriverebbe una specie di diritto acquisito al lavoro per cui si è studiato, diritto che come vediamo traballa anche per le grandi lauree borghesi (medicina, legge, economia) figuriamoci per quelle light del terziario avanzato.
I due protagonisti del blog precedente non "vedono" quanto i loro desideri, che credono desideri normali siano in realtà desideri specialissimi, appannaggio di una cerchia ristretta di fortunati.

Matteo non lo capisce, perchè la scenografia in cui si è mosso per arrivare alla sua laurea lo ha illuso che il processo causa effetto fosse immediato. Non solo, pur trovando (colmo del culo) effettivamente un posto fisso nel suo settore, si stupisce di iniziare guadagnando poco e lavorando molto.

Un account pubblicitario che si stupisce di dover lavorar sabati e domeniche comprese è un account che non ha capito un cazzo del suo mestiere. 
Spiace dirlo ma è così. Non a caso Matteo, in Australia finisce a insegnare all'università. La grande madre pubblica che garantisce 30 ore a settimana e week end liberi fino alla pensione. 
Sono proprio lavori diversi, desideri diversi, equilibri diversi. 

Si può anche studiare scienza della comunicazione (ma possibile che gli studenti non si accorgano della ambiguità di questo titolo?) e rendersi conto che per quella "scienza" non si è affatto tagliati.
Queste scuole, ed io ci ho insegnato, partoriscono ogni anno 30 laureati circa. Di questi di solito uno  e dico uno solo ha le doti che serviranno al mestiere che si è scelto e spesso non riuscirà a farle fruttare per sfortuna, pigrizia, confusione, caso. Gli altri 29 sono destinati a creare un serbatoio di disillusione e spesso rancore, finendo a fare lavori normali e dignitosissimi, con la sensazione che un angolo di cielo gli sia stato precluso per un qualche complotto cosmico.
Non è così. Certe scuole danno solo l'opportunità di capire, danno qualche arma spuntata per affrontare la jungla del mondo della comunicazione. Dopodichè si è appunto soli nella jungla e il risultato ottenuto sarà solo il frutto della propria abilità tenacia dedizione, resistenza, fortuna ecc.
Tra diventare un direttore di agenzia creativa, un regista, un autore affermato  e  diventare Maurizio Cattelan non c'è più molta differenza.  Entrambi mestieri esclusivi e ambiti per cui non c'è scuola che tenga.
Ecco perchè forse mi sfogo con (troppa) veemenza su Matteo e Alice che vanno in Australia.
Perchè ci vanno con l'atteggiamento dei puniti da un ingiustizia e dovrebbero invece andarci con l'orgoglio di chi cerca un avventura.
mi sarò spiegato meglio?

1 commento:

ettore bronzetti ha detto...

mi permetto di aggiungere una considerazione: ma perche´ con tutti gli italiani con in tasca una laurea "vera" ed espatriati alla ricerca di opportunita´ migliori l´ articolista del corriere e´ andato a pescare proprio quei due inetti di matteo e alice? e perche´ il suo caporedattore non gli ha cestinato l´ articolo al grido di "e chi se ne frega!"?.
Sorge un dubbio:le opportunita´ non sono un attitudine, sono un luogo: la redazione del CdS in via solferino a milano.
Perfortuna che ci sono i blog.