domenica 17 febbraio 2013
the sanremo diaries_the final
Finalmente Tenco ha vinto Sanremo.
Mi spiego meglio. Ha vinto Mengoni, superando i Modà eterni attesi vincitori di Sanremo ed Elio e le storie tese, quasi un premio alla carriera il loro (ma vorrei davvero sapere chi mai scaricherà ed ascolterà nell'ipod la canzone mononota...).
VI spiego perché Tenco.
Quest'anno la giuria di qualità, pesava molto più degli anni scorsi, il 50% dei voti. Il martedì, la classifica parzialissima del televoto non aveva dato sorprese, i 4 artisti da talent erano nelle prime posizioni. Ormai il festival, lasciato al voto da casa è in mano alle truppe di Amici ed X Factor, questo lo si sa. E il popolo, parafrasando Benigni "sceglie sempre barabba", con rispetto parlando... La giuria di qualità al 50% è stata messa li per evitare questo strapotere e questa prevedibilità.
Non è un caso infatti che la 4a classificata fosse Malika. Quindi un voto senza l'inclusione aliena di Mengoni avrebbe chiuso con Elio, Modà e Malika. Tre artisti comunque considerati "veri" (la dove l'accezione falso, era quest'anno appannaggio dei divi da talent appunto).
Sennonché il venerdì, nella serata di "Sanremo Story", Mengoni ha offerto una delle più convincenti (e commoventi almeno per lui) interpretazioni mai date di "Ciao amore ciao" di Luigi Tenco. E devo ammettere che osservare questo ragazzo fare sua la canzone e, soprattuto dalla seconda strofa in poi, viverla con grande intensità, lo sguardo al cielo, gli occhi lucidi, il ritornello finale variato ad arte (nessun "ciao amore ciao" era uguale al precedente) cercando di imprimere ad ogni verso un significato, è stato un bello spettacolo. Credo anche di grande autenticità.
Ecco io penso che questo exploit, questa reincarnazione in un brano così enormemente simbolico abbia cambiato radicalmente la visione che la giuria selezionata aveva di questo artista. Ecco quindi che unita alla potenza di fuoco del televoto si sono aggiunte (provo a indovinare) delle valutazioni insolitamente alte per il vincitore, da parte della giuria specialistica. Non tanto per il brano che interpretava, ma davvero perchè la sera dei brani storici Mengoni ha provato a fare (forse involontariamente, forse spericolatamente) da ponte tra il vecchio Sanremo ed il nuovo. Non ultimo, sospetto sia scattato uno strano ed obliquo risarcimento per quel bellissimo brano di Tenco, davvero mai capito fino in fondo.
Ecco la mia lettura. Naturalmente opinabilissima.
Fazio ha condotto la serata di chiusura maluccio, sopratutto nella parte finale.
Apostrofare il direttore di palco a bordo scena, offrendo tenacemente il proprio profilo sinistro allo schermo, qualche volta fa spontaneismo, fatto regolarmente con lo sguardo smarrito assomiglia molto ad una mancanza di precisione. Spesso Fazio quando qualcosa succedeva sul palcoscenico (qualcosa che non era inquadrato; tipo lo smontaggio velocissimo degli strumenti) ce lo faceva capire con movimenti panici e repentini dello sguardo. Non è una forma di complicità, è un errore televisivo...
Il conduttore è quella persona che mentre accanto a lui stanno smontando con la fiamma ossidrica la batteria incastra sullo stage, ci guarda fisso in camera, primissimo piano, e zufola aneddoti sulla storia di Sanremo come se quei minuti d'attesa fossero la cosa più prevista e più calcolata dell'universo visibile. Farlo sempre può suonare falso o vecchia scuola, d'accordo, ma non farlo mai ti fa apparire come uno che non sa cosa sta per succedere.
Non c'è molto altro da dire sulla serata finale, che non è altro che un grande petting televisivo in attesa dell'orgasmo linberatorio. La proclamazione del vincitore.
E' interessante invece la resa degli ascolti. Hanno tenuto fino all'ultima sera con flessioni davvero minime nelle puntate centrali. La Rai che va in pari coi soldi... E tutto questo conseguito con un Festival "colto", con la danza e la musica classica. Sicuramente un edizione che sente nella pancia la nuova stagione politica. E' un fatto però che Fazio riesce ad aprire un Sanremo con Wagner, a proseguirlo con la danza contemporanea senza perdere ascolti. La Litizzetto ha (di nuovo) molto merito in questo. Battitore libero di freddure improvvise e fulminanti va seguita secondo per secondo, perchè proprio questo infilarsi in ogni interstizio e pausa della liturgia è la sua abilità. Questo inchioda i curiosi alla poltrona per tutto la durata dello show, senza possibilità di fuga.
Tutti parlano di "nuova tendenza", io invece penso che ogni Festival faccia storia a se, e che si può forse parlare di mini flussi che toccano due o tre edizioni... dopo la stagione dei talent protagonisti, ecco il minitrend Morandi Fazio che cercano di riscoprire la "centralità" della canzone.
Vedremo cosa esprimerà l'anno prossimo il contesto.
Vi lascio con una domanda... vi ricordate ancora di Alexia?
the searcher.
venerdì 15 febbraio 2013
the Sanremo diaries_day3
Diciamo la serata dell'impegno sociale e anche la tradizionale serata di transizione. Si risentono le canzoni e si mettono a fuoco le preferite, anche gli autori possono sbizzarrirsi un po' e scaldare le batterie in attesa del sabato sera fluviale.
La Litizzetto lasciata sola da Fazio, infila il miglior monologo da lungo tempo a questa parte e ci fa ricordare cosa amiamo di lei. La capacità di raccontare il quotidiano con humor ma anche con empatia. L'abilità disegnare i sentimenti di ogni giorno per quello che sono, senza retorica e con tenerezza.
Il personaggio è sempre il suo intendiamoci "questi uomini che dobbiamo sopportare ma alla fine ci piacciono e siamo fatti per stare con loro" ma davvero lo recita con autenticità. Credo che Luciana Litizzetto sia in fondo una donna anni '50, che ama pensare al rapporto uomo donna come qualcosa che ha a che fare con regole immutate e immutabili, con una nostalgia malcelata per l'idea di mascolinità, persa nei '70 della parità di sessi.
Antony and the Johnston è un ospite musicale che rivela la raffinatezza dei gusti di Fazio. Si capiva che era una scommessa vinta sopratutto da lui. Anche Antony, commovente certo, ci rivela quanto i musicisti siano spesso peggiori della loro musica. Una voce celestiale, un brano struggente... e poi un insopportabile "pippone" sul destino del pianeta che ci ha inflitto per almeno 4 minuti, seduto al piano e leggendo tutto da un foglio preparato. Fazio in piedi, sapeva quello che lo aspettava e lo ha subito con dignità. Nondimeno sembrava padre Georg quando ascolta Ratzinger che cerca di portare alla fine le sue omelie con la "q" tedesca. Dobbiamo sempre farci trattare da colonia culturale.... In questo emisfero si rifletteva sulla condizione femminile quando negli Stati Uniti le madrie di bisonti vagavano ancora libere. Vaffanculo va' Antony.
Il Festival esprime sicuramente una tendenza politica. Questo festival è di sinistra, fighetto e un po' snob. Ce ne accorgiamo dal senso di irrilevanza che si respira tutt'intorno ai fenomeni dei talent. In passate gestioni la vittoria era una questione di lotte tra amici e i fattori X. Quest'anno l'accento è fortemente su artisti collaudati, su autori o band indipendenti con una grande storia alle spalle. Il non detto è su "Musicisti veri"... e se dobbiamo vedere pencolare un po' di simpatia e verso gli artisti del talent Sky, non certo verso quelli di Amici. Ciononostante persino la mitica Chiara di X factor passa e va, senza particolari attenzioni e lusinghe. E' un interessante segno di autonomia anche rispetto alle discografiche, che secondo me nella gestione Morandi misero mano piuttosto pesantemente.
Tutta questa teoria potrebbe naturalmente essere infranta sabato sera dal televoto lo sappiamo, ma il cima e il contesto credo siano quelli che ho descritto.
Elio.
Ormai è un esperimento di arte contemporanea applicata al festival. Le fronti sempre più alte e la meravigliosa trovata delle braccia finte lo collocano in un iperuranio tra il miglior Cattelan e "I soliti ignoti" di Monicelli, impagabile.
giovedì 14 febbraio 2013
the Sanremo diaries_day2
Un bell'inizio di seconda serata, con Beppe Fiorello che interpreta con credibilità e, mi sembra grande rispetto, Domenico Modugno. Il gesto finale di regalare la giacca di Mimmo alla vedova è forse un po' retorico ma efficace. Quando Sanremo travalica e diventa storia del paese (storia pop certo) è al meglio di sé.
Luciana si rilassa e il duo trova sicuramente un ritmo più giusto. La tecnica di palco della coppia la conosciamo; la ragazzaccia sboccata e il professore di liceo che la tiene a bada con urla da zia esausta alle gite ("Luciana!"). Il primo giorno l'eccesso di interruzioni della Litizzetto aveva troppo frammentato le presentazioni, ieri la macchina funzionava meglio, complici anche i suggerimenti imperiosi di Fazio, che i microfoni sempre troppo aperti (un errore tecnico inspiegabile...) ci hanno lasciato intuire tra una pubblicità e l'altra. Luciana poi da il meglio di se con le belle ospiti. La gag "io donna normale voi gnocche, ricche e con più culo che anima nella vita" è formidabile e permette l'immedesimazione del 98% delle femmine davanti alla TV (il 2% escluso sono Belen e Afef Tronchetti Provera).
Tutti parlano bene della formula doppia canzone e io invece no. Si capisce lontano un miglio qual'è la preferita dagli artisti e si è creata anche una curiosa deriva stilistica; primo brano pura ballata in stile Sanremo, pur nella differenza di mood (i modà fanno i modà, max gazzè fa Niccolò Fabi più bravo come sempre) per il secondo pezzo parte invece il riflesso condizionato del musicista finto colto... la rivisitazione della canzonetta swing anni '30 attualizzata. Gorni Kramer meets Radiohead diciamo.
Tutti dorotei insomma e tutti a tentare la doppia offerta; Pop song e tradizione, non sia mai che lo spettatore tipo di Rai Uno (70 anni..) non senta echi di gioventù e voti a favore.
Ecco devo dire che la musica cosiddetta altra, colta, quella intelligente ma fuori dalle classifiche si è presentata alla prova sanremese con un risultato finora deludente. Molti artisti che abbiamo visto sul palco avevano già dato il meglio di se sulla scena indie (per quello che ciò ormai significa) tanti anni fa. Quella che stiamo testimoniando sembra insomma più una celebrazione postuma, officiata da un grande musicista, Mauro Pagani, che la fotografia del nuovo.
So che volete i nomi e li faccio... gli Almamegretta. Una pallida imitazione della straordinaria band che sono stata e che addirittura si fa scrivere una canzone da Federico Zampaglione ( il "Tiro Mancino").
Fa piacere intendiamoci e se lo meritano, così come se lo sono meritato Marta sui tubi, ma lo zeitgeist è altrove, in artisti che probabilmente Sanremo lo rifiuterebbero a priori... Amor fou, Dente, le luci della centrale elettrica, lo stato sociale, zen circus, i cani ed è una lista ovviamente parziale.
Diciamo quindi che quasi sempre Sanremo consacra o storicizza. Raramente anticipa.
Resta i-nar-ri-va-bi-le Toto Cutugno con il coro dell'armata rossa.
Per ora il "momentum" dello show è ancora suo. Il nazional popolare è un gioco duro e solo i duri lo sanno giocare.
ps attendiamo di sapere se la apple farà causa per plagio ai titoli "mirrored" di questa edizione...
a domani
the searcher
mercoledì 13 febbraio 2013
The Sanremo Diaries_day1
Non sempre una formula che funziona in un contesto, funziona sempre.
Il salotto casalingo un po' sandra e Raimondo un pò commedia degli equivoci di Fazio/Litizzetto così efficace su raitre, sul palco di Sanremo infatti gira fino ad un certo punto.
Il Festival è comunque un appuntamento istituzionale, ed un po' di formalismo non guasta. Presentarlo come il "Mercante in fiera" del pomeriggio di Natale non lo rende più intimo e familiare. Semmai più confuso e con un che di raffazzonato.
Non è un caso infatti che l'unico momento autenticamente Sanremese ( e quindi con la sua cifra di ridondanza trash) sia stato Toto Cutugno con il coro dell'Armata Rossa. Un instante imperdibile, con i volti imberbi dei giovani sovietici che cantavano "Litaliano" con un trasposto che noi abbiamo visto al festival forse solo negli anni '50. Toto ha giganteggiato, padrone della scena, a suo agio, con quella assenza di vergogna che il nazional popolare richiede e pretende.
Crozza si è preso dei fischi. Povero fiore sopravviverà? Finisce così quando fai tutti i tuoi show protetto nell'enclave fighetta de La7 o nei teatri adoranti. Anche tu Crozza, sei disabituato al dissenso, troppo aduso alle lusinghe. Anche tu vivi fuori dalla realtà ed hai dimenticato la gavetta, come quei politici che prendi in giro. Ed ecco che appena trovi un palco vero, dove rischi anche di trovare un elettore PDL che ti si sfancula, sbandi, slitti, vedi le tue certezze messianiche messe in dubbio e a momenti te ne vai. E deve intervenire Fazio, come un leone a proteggerti non dal pubblico (che ha SEMPRE ragione!) ma a salvarti dalla tua stessa debolezza e vanità, dalla figura di merda che stai per fare, ed a ricordarti la prima ed unica regola di ogni uomo di spettacolo che tu, Crozza hai dimenticato; "The show must go on",
la musica, qualche cenno..
"Marta sui tubi" va sul palco più mainstream che esista in Italia e cerca di salvare la propria diversità con un bacio alla Litizzetto ed un look da prodigy de noantri. Troppo poco. E' bello vederli li dopo tanti anni di gavetta, se lo meritano, ma certe trasgressioni all'interno di una cornice così solidamente convenzionale non suonano geniali, semmai un po' fuori posto.
La peggior esibizione della serata però è indubitabilmente nelle mani dello sgangherato duo Cingotti Molinari. Si sono viste coppie da piano Bar fare cose infinitamente più egregie e convincenti lungo tutta la costa adriatica, che credetemi, è piuttosto lunga. Il contro canto/urlo di Cingotti " I want you back!!!" sul secondo brano era agghiacciante, ma vedendo le gambe di Simona e la sua schiena nuda, sbirciata grazie al gioco si specchi dell'Ariston, capiamo che Peter avrebbe urlato qualsiasi cosa...
domenica 23 dicembre 2012
le province. Una storia italiana
E così la riduzione/accorpamento delle province non si farà.
Non per colpa della politica, di Monti, della crisi internazionale.
Per colpa nostra, vostra, per noi e per voi, per l’eterna ignoranza italiana.
Diciamoci la verità, gli italiani fanno un po’ schifo. Noi facciamo un po’ schifo.
Velleitari e autoreferenziali, piagnoni e furbetti, perdonisti con se stessi e spietati con il prossimo, che danno ragione all’ultimo con cui hanno parlato e la sanno sempre lunga.
Ricordo le campagne anti-provincia, che sembrava la madre di tutti gli sprechi. Sono sicuro che il 99,9 degli intervistati all’epoca si beava di tuonare contro un organismo inutile, pletorico, che serviva solo a moltiplicare le poltrone. Tutti d’accordo; le provincie vanno abolite. Tutte. Subito. Con un colpo di penna. E tutti a firmare appelli.
Ricordo le campagne anti-provincia, che sembrava la madre di tutti gli sprechi. Sono sicuro che il 99,9 degli intervistati all’epoca si beava di tuonare contro un organismo inutile, pletorico, che serviva solo a moltiplicare le poltrone. Tutti d’accordo; le provincie vanno abolite. Tutte. Subito. Con un colpo di penna. E tutti a firmare appelli.
Poi arriva Monti e ci prova. Nemmeno ad abolirle, ma realisticamente solo ad accorparle.
Apriti cielo.
Apriti cielo.
Non i politici (non solo) ma anche gli immarcescibili “italiani brava gente”, quella intervistata per strada, quella che metterebbe alla gogna (vera, del museo delle torture) qualunque parlamentare, si trasformava nella più accesa salvatrice non “delle province” come entità (giammai, bada bene), ma ovviamente della propria!
Perché va bene abolirle tutte, ma Frosinone no! Ecchè scherziamo?!
“Niente niente Frusinune co’ Latina!? Ma ‘n ce lo sapivate che nuie ci stavamo prima de lory? Allora per San Crispine abbolite Latina e facite Frosisnone la grande pruvincia no?”
“ Oh bellino! oh che ttu ddìci! Piuttosto ‘he andà sotto a PIsa noi ci si butta tutti al fiume o maremma abolizionista!”
e via pontificando, a metà tra "cazzenger" e una sagra di paese.
Gli stessi.
Gli stessi eterni italiani dell’eccezione che conferma la regola, del codicillo, del post scritum, del latinorum, i veri inventori del nimby (“not in my back yard”, “non nel mio giardino”. Mai) i campioni dell’aiutino.
Gli stessi che girano le girandole moretttiane, quelli che si deve abolire il vitalizio, quelli che fanno la coda a qualunque gazebo per qualunque campagna per abolire qualunque privilegio. Altrui.
E a riporto le seconde e terze linee politiche. Assessori locali (localissimi...), presidenti di provincia che sentono l’odore del sangue, della facile vittoria. Si rendono conto come in trance che si! Il miracolo è successo! Dell’abolizione delle province agli italiani, in realtà, non frega una beneamata minchia! Anzi! Questa lotta la sentiranno come loro! Difendendole si vincerà una facile battaglia populista, si passerà addirittura per sensibili al territorio! Ed eccoli allora in prima linea! Ecco allora i presidenti che bevono olio di ricino, ecco consiglieri che si incatenano chissà dove.
Come d’incanto, la riduzione delle province che TUTTI, TUTTI, TUTTI volevano, diventa la grande battaglia identitaria conto lo strapotere dello stato totalitario, piemontese nazifascista! Giù le mani da Varese per Dio!
Come d’incanto, la riduzione delle province che TUTTI, TUTTI, TUTTI volevano, diventa la grande battaglia identitaria conto lo strapotere dello stato totalitario, piemontese nazifascista! Giù le mani da Varese per Dio!
E quegli stessi censori dello spreco, quei firmaioli compulsivi ora sono tutti li sorridenti, intervistati per le strade della bella provincia italiana ad ammiccare, a spiegare compiti che quella provincia esisteva dai tempi dei Longobardi e non può essere certo l’odiato Monti ad infliggere questa ferita culturale proprio a loro..... certo se poi le provincie limitrofe desiderano sottomettersi alla loro millenaria storia....
I partiti nazionali a chiudere il cerchio.
Sentita l'aria che tira, sicuri grazie al loro infallibile fiuto opportunista, che non ci sarebbero state manifestazioni di piazza per questo fallimento hanno compiuto il capolavoro che riesce loro meglio; quello della riforma annunciata che poi non si fa, della legge intrappolata nelle ragnatele dei regolamenti parlamentari, dei calendari, del “fuori tempo massimo”, della morte in sordina. Le braccia allargate nell’impotenza, lo sguardo dispiaciuto e la strizzatina d’occhio al proprio feudo elettorale, salvato e vellicato da queste vittorie di Pirro.
Far cadere il governo insomma e far credere agli elettori di averlo fatto quasi solo per salvare la loro provincia. Un capolavoro italiano.
“Cosa stiamo aspettando signora?” “Che sia troppo tardi”
Baricco degli italiani ha capito tutto.
Facciamo un po' schifo.
venerdì 28 settembre 2012
il culto di Gaia
Ho
scoperto di recente un blog molto interessante.
E’
cristiano, con sfumature tradizionaliste, frequentato da cattolici che tendono
a difendere la tradizione ed a criticare (finalmente) con franchezza la
cosiddetta secolarizzazione.
Io
non sono credente
(neppure sincretico/buddist/shintoistaortodossosolodidomenicaconfucianopanteista...), ma mi è piaciuto leggerlo perchè è senza infingimenti e inciuci, ci sono interventi di cattolici radicali, che si schierano e difendono i dogmi, le proibizioni. Spesso con competenza
(neppure sincretico/buddist/shintoistaortodossosolodidomenicaconfucianopanteista...), ma mi è piaciuto leggerlo perchè è senza infingimenti e inciuci, ci sono interventi di cattolici radicali, che si schierano e difendono i dogmi, le proibizioni. Spesso con competenza
scientifico-medica,
anche se orientata è ovvio.
Per farvi capire gli schieramenti i peggio trattati sono Margherita Hack e l'ormai defunto Cardinale Martini....
Però ho trovato degli spunti interessanti e, come dire, non allineati. Uno in particolare mi ha
fatto riflettere, riguarda quello che un commentatore ha definito
il
neo-paganesimo del culto di Gaia, il nostro pianeta.
E’
vero. Un
sentire diffuso nell’opinione pubblica percepisce la terra, la natura, come il
luogo del buono, del perfetto, del sostenibile e vive l’umanità come virus che
turba gli equilibri millenari del globo e identifica ciò che è “umano” come
corrotto perchè devia dalla saggezza del naturale. Non lo avevo mai considerato in questo senso (nel senso di
un vero culto seppure inconscio) ed è una riflessione acuta.
La
risposta che i cattolici danno a questa deriva sta nella conseguenza del
superamento della società come antropocentrica, per portarla in un territorio,
come l’antispecismo, in cui l’uomo non è più centrale nella visione
dell’esistere, ma specie tra le specie. In casi estremi si teorizza la
possibilità di danneggiare l’uomo per salvaguardare la natura.
Di
paganesimo si tratta senza dubbio. Per il cristiano questo è inaccettabile
ovviamente, perchè ha come conseguenza la fine del rapporto privilegiato tra
Dio e l’uomo a sua immagine e somiglianza e più sottilmente della gerarchia tra
l’uomo e la natura, che per il cristiano può essere sfruttata e usata, mentre
per il neo-pagano ovviamente no.
Questa
natura neo-pagana però è ideologica, finta, costruita.
Qualunque
contadino, vi racconterà senza retorica e sdolcinature che cos’è davvero la natura. Uno spazio che non è “morale” e
nemmeno “filosofico” ma semplicemente “è”.
Incesto,
cannibalismo, stupro rituale etero e omosessuale, aggressioni, scontri mortali
per la leadership, abbandono degli esemplari deboli… tutto questo succede nel
mondo naturale ogni giorno.
Esistono pratiche che il buon selvaggio da terzo millennio non tollererebbe,
quindi le censura e della natura usa una fotografia ripulita, edulcorata e
sostanzialmente addomesticata per piegarla ai propri fini. Per il
non-cristiano lo scopo è dichiarare il pianeta come luogo perfetto ed
indicarlo come esempio da seguire.
Non c’è bisogno di Dio, noi non siamo così speciali, siamo una razza
come un’altra, è altrettanto nobile occuparsi di babbuini che di bambini
poveri, di cani abbandonati che di affamati in africa.
I
conti tornano. L’uomo contemporaneo affoga in questa contraddizione sempre più a fondo, in un
equilibrio instabile tra ingordigia consumistica e ricerca del sé. I beagle dei
centri di vivisezione sono adottati a fiotti mentre in Italia, già nel lontano
1998, si macellavano circa 90 milioni di bovini l’anno per consumo alimentare.
Il vegetarianesimo infatti è un altra frontiera del culto di Gaia, nonostante si possa obiettare che la domesticazione e la macellazione appartengano alla notte dei tempi (esistono poi animali carnivori) ma sono “umani” appunto e non “naturali”.
Il vegetarianesimo infatti è un altra frontiera del culto di Gaia, nonostante si possa obiettare che la domesticazione e la macellazione appartengano alla notte dei tempi (esistono poi animali carnivori) ma sono “umani” appunto e non “naturali”.
Il
vegetarianesimo attecchisce però molto meno di una generica ammirazione per la
perfezione naturale. E si capisce il perché… aggiungere alle pause estatiche
davanti ai tramonti, la scomparsa dl prosciutto crudo dalle proprie cenette è
faticoso… puzza già di precetto, di religione appunto. E poi il maiale non è
l’airone...
La
crescita sostenibile e la decrescita tout court sono poi gli altri cavalli di
battaglia del neo-pagano. Produrre meno, crescere meno, salvaguardare il
pianeta il più possibile. Ed anche qui tra le contraddizioni evidenti ne cito
una; un recente articolo di giornale ha messo in luce l’enorme quantità di
energia che i data center di
internet sparsi nel mondo consumano. Ma certo una macchina che scarbura per
strada è un immagine di inquinamento del pianeta molto più evidente di un
asettico mac sul nostro tavolo.
(Il downsizer contemporaneo poi ha uno ed un solo mezzo di locomozione: La bicicletta.)
(Il downsizer contemporaneo poi ha uno ed un solo mezzo di locomozione: La bicicletta.)
Paradossalmente
il cristiano potrebbe non essere un ecologista convinto, forse in modo meno
ipocrita il cattolico ritiene infatti che il mondo sia stato creato per lui, per la sua
vita e che nel pianeta deve (e può) trovare nutrimento e conforto materiale. Al
morale ci pensa Dio.
Il
neo-pagano no. Si sente perennemente in colpa, è come avvertisse di dover
chiedere continuamente scusa alla terra, la regressione verso il non-intervento
potrebbe portarlo anche ad estremi (e ne ho conosciuti) come i frugivori, o
certe sette che si rifugiano in zone sperdute tornando a forme di
organizzazione da cacciatori-raccoglitori. Praticamente tornare al paleolitico
per non disturbare la natura.
Ecco
se la guardiamo da lontano, la struttura di pensiero che sacralizza Gaia
passando dalla decrescita, alla sostenibilità, al riciclo, all’impatto zero,
finendo alle battaglie vegetariane, anti-vivisezioniste, disegna certamente un
culto para-religioso molto preciso; che delegittima l’uomo, come un protervo ospite del
pianeta in cui deve muoversi in punta di piedi in attesa, forse, di sparire
di nuovo.
Certo
ho estremizzato. Esistono Cattolici che adorano solo lattuga e vivono in
povertà accanto a laici consumatori bulimici e felici. Ma
non avevo mai riflettuto su quanto conformismo e distorsione ideologica ci
potesse essere nel rispetto del territorio e quanto, in questo si possa nasconder un sottile
disprezzo per l'essere umano.
martedì 11 settembre 2012
being matteo renzi
E’ tale la levata di scudi contro Renzi, fatta con tale virulenza, che sempre più è evidente la bontà della sua scelta.
Ci sono delle forzature? Certo che ci sono, ma in un paritto blindato e sclerotizzato come il PD lo spazio lo trovi con le forzature non certo con le procedure ordinarie.
Renzi, sono certo, avrebbe voluto concorrere a delle primarie di Partito per arrivare alla direzione e cambiare i democratici da dentro. Mira a quelle di colazione perchè è lo spazio dato in questi tempi grami e questo spazio è deciso a prendersi.
L’organigramma che di recente i giornali di destra hanno fatto paventare in caso di vittoria di Bersani forse non è vero. Il peggio è che è “verosimile”. A tutti, questa spartizione che sa di muffa è sembrata possibile e credibile, segno che Bersani non ha saputo renderla con la forza della sua segreteria, un ipotesi che fa sorridere.
Ma vediamo cosa rimproverano a Renzi e cerchiamo di smontare questi distinguo pezzo per pezzo.
Non sono primarie di Partito.
Già detto. Le primarie di partito si faranno chissà quando, immemori i democratici dell’enorme cesura che il govreno Monti sta rapppresentando nel paese e nella storia politica italiana.
Persino Berlusconi ha pensato ad un giovane, per quanto cooptato, per marcare la discontinuità (persino lui...). Il PD invece non è si neppure per un attimo interrogato su quali facce fosse opportuno presentare, dopo una parentesi di questa portata. Anzi, già chiamarla parentesi è un errore lessicale. Renzi prova a imporre questa riflessione con l’unico mezzo che ha; le primarie di coalizione, che per quanto imperfette, possono funzionare per scardinare questo errore di valutazione politica.
E’ un utile idiota/spacca il Partito/è al sevizio dei nostri nemici politici.
Questa idea delle primarie addomesticate sono da sempre un pallino degli ex-comunisti (e non dei prodiani, nota bene). A Bersani dovrebbero fischiare le orecchie.... Si ricorda quando gli imposero con la moral suasion di non correre contro Veltroni?
Poi è davvero paradossale che le primarie siano aperte a tutti, ma non a quelli che secondo i “Colonnellli” non sono adati a correrle.
Quanto paternalismo, quanta boria, quanta tattica spacciata per strategia signori!
Potrei essere anche più velenoso e lo sarò, chiudendo così;
D’alema, te lo ricordi Alessandro Natta?
Non ha un programma chiaro...
Ma andiamo! Sono almeno 20 anni che “il corpo è il programma” gli archetipi ormai incarnano le idee! Tutto questo era Berusconi, è stato Prodi, lo è Bersani ed ora Renzi!
La sua storia personale, la sua età, sono il portato che ci permette di leggere in fligrana, chairissimamente, quale programa il Sindaco di Firenze vuole offrire.
Il suo viso, il suo modo di comportarsi, le slide che usa per le sue presentazioni (slide? Bersani già è perplesso.... ) parlano chiaro!
Abbozziamo una sua piatttaforma? Eccola;
Superamento delle categorie ideoolgiche ottecentesce, superamento del rapporto priviliegiato/malato con la CGIL, meritocrazia, pari opportunità per la realizzazione personale, una definiione nuova e post-industriale dei rapporti di lavoro e di quelli socio-economici, i precari di nuova generazione ed i lavoratori atipici al centro delle politche del lavoro, la tecnologia come chiave per la modernizzazione del paese, l’innovazione e il web al centro dell’agenda. Questi sono solo esempi che si deducono quasi “lombrosianamente” dal suo “being Matteo Renzi”.
Così come Bersani significa, tranquillità nella continuità, assonanze emotive con i cugini delle sinistre radicali, lavoro come era concepito negli schemi del secolo scorso, la sicurezza della guida di un buon padre di famiglia insomma, senza scossoni traumatici ma anche senza novità. Praticamente una Opel. E D’alema fa D’alema, la sua Farnesina sarà attenzione ai paesi arabi e sfumature cirtiche verso gli Usa, eterni imperialisti e Israele troppo aggressiva nella sua regione.
Non ci vuole la sfera di cirstallo per intuire cosa ci aspetta.
E’ già Sindaco. Non dovrebbe correre.
Aspettate non ricordo bene... era Penati che si candidò da governatore della Regione mentre era Presidente della Provincia? Forse ricordo male, deve essere così.
Perchè lui? ci sono tanti altri 40 enni!
E beh certo. Renzi inizia la traversata nel deserto tra pernachhie e ostilità interne a partire dalla sua corsa alle primarie per il candidato sindaco di Firenze (già allora con D’alema contro). Sfancula tutti e le vince. Li risfancula vincendo anche le elezioni da Sindaco. Inizia una lotta aperta di almeno due anni nel PD per imporre il concetto di ricambio generazionale, prendendosi tutta la contrarerea (“tenere duro mentre piove la merda” come dice Al pacino in un film). Poi il vento cambia, racccoglie consensi, si rafforza, riesce a portare nel DNA delle primarie la questione del ricambio della dirigenza e quando finalmente il traguardo è vicino... lascia perdere per non “rompere il partito” e propone la segreteria a Fassina.
Certo Renzi è Madre Teresa di Calcutta con una spruzzatina di Cincinnato.
Ma quando Renzi prendeva le badilate sulla questione del ricambio, dov’erano tutti questi quarantenni cuor di leone? (e lasciamo stare il più bel fiore che possedemmo e che sì bello fu perduto: Deborah Serracchiani)
Davvero pensate che Renzi non lo faccia anche per potere, visibilità? O devo nuovamente ricordarvi chi era Alessandro Natta?
Renzi fa quello che si DEVE fare. Cercare con forza (politica) di prendersi la segretaria del PD e pensionare una classe dirigente che non è affatto di scarso valore, ma che accecata dalla propria autoreferenzialità non capisce che fcendo un passo indietro potrebbe diventare un grande patrimonio di consigli, esperienza e saggezza da offrire alle nuove leve. Sceglie invece di restare in campo, costringendo alla rituale “uccisione del padre”.
Fatto questo Renzi, con un sano, sanissimo spoil system, vorrà costruire una Segreteria nuova e un Partito nuovo, proporre una propria visione di società al paese ed agli elettori e su questo tentare di andare al governo.
Parafrasando letture un tempo alla moda “la conquista della Segretaria non è un pranzo di gala” è una lotta dura, che va fatta muso duro.
Del resto persino Del piero adesso gioca in Australia. Possiamo permetterci addirittura di avere Rosy Bindi che rimane senza un ministero.
Credetemi, sopravviveremo.
the searcher
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