mercoledì 28 aprile 2010
perchè io esiste.
No il mio titolo non è un refuso.
Negli anni '80 (credo fosse MAX il giornale) usci nelle affissioni questa pubblicità che sdoganava di fatto l'autoreferenzialità (e l'egoismo).
Molta strada si fece da allora per arrivare a quello che vedete nel filmato e nella foto, un'immagine del nuovo spot franco rosso.
Mi colpisce molto, perchè il solipsismo, la riduzione a puro piacere egoistico e solitario di qualunque cosa si era sempre fermata davanti alla vacanza.
L'immaginario del viaggio organizzato significava compagnia, una velata possibilità di avventure erotiche, amici/mogli/figli, allegre brigate oppure la vacanza in due, finalmente soli e lontano dalla città alienante.
Franco Rosso ha passato inconspevolmente un nuovo confine.
Lo spot mostra 15 secondi di un villaggio da sogno assolutamente DESERTO. A cui segue l'immagine di una donna, che esce dall'acqua, dura, androgina un essere maschio/femmina che basta a se stesso.
E poi il claim finale:
"un viaggio dedicato a me".
Percepite la segreta violenza del messaggio? L'unica cosa importante è che IO mi diverta. Perchè sono io, perchè me lo merito, sottotitolo, "fanculo tutti gli altri e chi osa impedirmelo".
Le pubblicità sono un segnale importante delle macrotendenze, non le anticipano, piuttosto le certificano. Ecco che allora la deriva autoreferenziale che ormai permea tutta la società, arriva anche alla vacanza, all'evasione, al viaggio. Non mi interessa più condividere un'esperienza. Mi interessa farla nella perfezione delle mie esigenze.
E se non sei disposto a questo, marito/compagno fatti da parte, perchè IO esiste. E conta solo quello che IO desidero.
Se avete seguito "mai dire grande fratello 10", vi sarete accorti che la delirante tendenza di tutti gli abitanti della casa era un racconto mitico di come loro erano (o credevano di essere) fuori dalla casa, nella vita reale.
Bene, quel racconto mitizzato, iniziava sempre, SEMPRE, con la parola "IO". "IO sono un tipo che..." "perchè se IO decido una cosa" "Tu non ti immagini nemmeno come sono IO veramente".
Questo racconto veniva poi sempre grottescamente smentito dai comportamenti nella casa. Promesse infrante, prese di posizione abbandonate, balletti di giuramenti e punti fermi mai mantenuti.
Nonostante questo il mito della propria perfezione immaginata proseguiva in ogni conversazione, perchè anche se io non sono così, IO mi merito di pensarmi così.
Le applicazioni di I-Phone. L'ultimo perfetto rifugio per trasformare in soddisfazione personale (e soprattutto solitaria) qualunque momento libero.
Ora anche la vacanza.
UNa volta si diceva meglio soli che male accompagnati.
Ecco oggi si è arrivati a dire "meglio soli".
E basta.
domenica 25 aprile 2010
il partigiano johnny
ecco una bella foto di Beppe Fenoglio. le guance mangiate dal vaiolo, l'eleganza e l'ironia dello sguardo. l'assenza di retorica, la mestizia anche.
Ecco beppe fenoglio che dopo aver fatto il partigiano, commercia in vini e si definisce scrittore fallito.
Ed eccovi l'incipit de "il partigiano johnny" capolavoro pubblicato postumo.
Beppe Fenoglio che va sui monti, combatte i tedeschi e riesce a sfuggire a qualunque retorica, che mi fa sentire così possibile e vicina una scelta che ora sembra tragica ed enorme e che lui racconta come semplice, minima, casuale, leggera. Eppure profondissima.
Mi fa sentire beppe, con il suo senso della misura, che forse in quelle circostanze senza spavalderia ma anche senza paura, forse anche io avrei potuto fare la stessa cosa.
buon 25 aprile.
_______________________
Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato; nella più felice delle ipotesi stava viaggiando per la Germania in uno di quei medesimi vagoni piombati, partito da una qualsiasi stazione dell’Italia centrale. Aleggiava da sempre intorno a Johnny una vaga, gratuita, ma pleased and pleasing reputazione d’impraticità, di testa fra le nubi, di letteratura in vita… Johnny invece era irrotto in casa di primissima mattina, passando come una lurida ventata fra lo svenimento di sua madre e la scultorea stupefazioni del padre. S’era vertiginosamente spogliato e rivestito del suo migliore abito borghese (quell’antica vigogna), passeggiando su e giù in quella ritrovata attillatezza, comodità e pulizia, mentre i suoi l’inseguivano pazzamente nel breve circuito. La città era inabitabile, la città era un’anticamera della scampata Germania, la città coi suoi bravi bandi di Graziani affissi a tutte le cantonate, attraversata pochi giorni fa da fiumane di sbandati dell’Armata in Francia, la città con un drappello tedesco nel primario albergo, e continue irruzioni di tedeschi da Asti e Torino su camionette che riempivano di terrifici sibili le strade deserte e grige, proditoriate. Assolutamente inabitabile, per un soldato sbandato e pur soggetto a bando di Graziani. Il tempo per suo padre di correre ad ottenere il permesso dal proprietario della villetta collinare, il tempo per lui di arraffare alla cieca una mezza dozzina di libri dai suoi scaffali e di chiedere dei reduci amici, il tempo per sua madre di gridargli dietro: - Mangia e dormi, dormi e mangia, e nessun cattivo pensiero, - e poi sulla collina, in imboscamento.
Ecco beppe fenoglio che dopo aver fatto il partigiano, commercia in vini e si definisce scrittore fallito.
Ed eccovi l'incipit de "il partigiano johnny" capolavoro pubblicato postumo.
Beppe Fenoglio che va sui monti, combatte i tedeschi e riesce a sfuggire a qualunque retorica, che mi fa sentire così possibile e vicina una scelta che ora sembra tragica ed enorme e che lui racconta come semplice, minima, casuale, leggera. Eppure profondissima.
Mi fa sentire beppe, con il suo senso della misura, che forse in quelle circostanze senza spavalderia ma anche senza paura, forse anche io avrei potuto fare la stessa cosa.
buon 25 aprile.
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Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato; nella più felice delle ipotesi stava viaggiando per la Germania in uno di quei medesimi vagoni piombati, partito da una qualsiasi stazione dell’Italia centrale. Aleggiava da sempre intorno a Johnny una vaga, gratuita, ma pleased and pleasing reputazione d’impraticità, di testa fra le nubi, di letteratura in vita… Johnny invece era irrotto in casa di primissima mattina, passando come una lurida ventata fra lo svenimento di sua madre e la scultorea stupefazioni del padre. S’era vertiginosamente spogliato e rivestito del suo migliore abito borghese (quell’antica vigogna), passeggiando su e giù in quella ritrovata attillatezza, comodità e pulizia, mentre i suoi l’inseguivano pazzamente nel breve circuito. La città era inabitabile, la città era un’anticamera della scampata Germania, la città coi suoi bravi bandi di Graziani affissi a tutte le cantonate, attraversata pochi giorni fa da fiumane di sbandati dell’Armata in Francia, la città con un drappello tedesco nel primario albergo, e continue irruzioni di tedeschi da Asti e Torino su camionette che riempivano di terrifici sibili le strade deserte e grige, proditoriate. Assolutamente inabitabile, per un soldato sbandato e pur soggetto a bando di Graziani. Il tempo per suo padre di correre ad ottenere il permesso dal proprietario della villetta collinare, il tempo per lui di arraffare alla cieca una mezza dozzina di libri dai suoi scaffali e di chiedere dei reduci amici, il tempo per sua madre di gridargli dietro: - Mangia e dormi, dormi e mangia, e nessun cattivo pensiero, - e poi sulla collina, in imboscamento.
un eroe piccolo borghese
Le frasi di Berlusconi su lo sceneggiato "la piovra" e su Saviano, devono indignare ma non dovrebbero sorprendere. E non per i soliti motivi e cioè il cinismo del premier, il suo opportunismo ecc.
Io credo che la sua convinzione sia non solo sincera, ma abbia una precisa radice nella storia politica del nostro paese.
Berlusconi è uno strano miscuglio di modernità e arcaismo, in un certo senso è il tratto di congiunzione tra l'italia degli anni 80, di cui fu un furbo profittatore, ma non un ideologo e l'ipocrisia piccolo borghese che dagli anni '20 (forse anche da prima) ha sempre trovato in Italia degni interpreti.
Quando Visconti presentò nel 1943 il suo film "Ossessione", una torbida vicenda di amanti e assassini, rimase storica la frase di Vittorio Mussolini "questa non è l'Italia". Passando da li arriviamo al giovane Andreotti che criticava il neorealismo, perchè sosteneva l'italia dovesse lavare i panni sporchi in famiglia.
E vi risparmio le recensioni di "Accattone" e "Mamma Roma" di Pasolini, sempre violentemente in quel solco.
Il troncare e sopire di manzoniana memoria, sono da sempre nel DNA dell'ipocrita borghesia italiana (o aspirante tale), che si droga di nascosto, scopa di nascosto, evade le tasse di nascosto, governa di nascosto.
Berlusconi, che ha 74 anni e si forma da giovanotto nella milano dei cumenda e delle commedie in bianco e nero, con le donnine amanti mantenute nei begli appartamenti del centro e i pranzi domenicali con la famiglia (dopo la messa, naturalmente), trova "naturale" considerare sconveniente che all'estero si traduca un libro che "parla male dell'Italia".
Vivendo di rappresentazione, difficilmente può "capire" che una rappresentazione del reale è la migliore forma di dignità di un paese. Preferisce nascondere alle altre nazioni i nostri malesseri, come le famiglie per bene che chiudono in lontani manicomi i figli un pò strani (nel '600 andavano preti).
Quello che si può esibire si esibisce, quello che è sconveniente si tace. E' una classica logica da provincia profonda che Berlusconi applica al sistema paese. E si duole con sincerità che le persone non capiscano di cosa sta parlando. Noi italiani dovremmo concordare che certe cose è meglio non farle sapere e risolverle da soli, continuando a sorridere al mondo (come insegnano Parmalat e Cirio del resto).
Se questa logica vi suona familiare c'è un motivo.
Perchè è appunto la logica mafiosa.
Nel Padrino, in una celebre scena, Johnny (James Caan) giovane rampollo dei Corleone e futuro boss designato, durante una riunione di affari di Don Vito Corleone, suo padre, con un altra "famiglia" di NY dissente da lui davanti agli ospiti.
Alla fine dell'incontro Don Vito/Marlon Brando lo rimprovera 2 volte. La prima perchè parla quando non è interrogato e manca di rispetto al padre, che in quel momento è Boss e unico deputato a condurre la riunione. La seconda quando gli dice "mai fare capire a chi ti sta davanti le tue intenzioni."
Omertà, segretezza, ipocrisia, piaggeria. Le eterne virtù italiane.
martedì 20 aprile 2010
giovedì 15 aprile 2010
invecchiare male
cosa accomuna pino daniele e paul weller?
intanto due carriere lunghe e straordinarie. Piene di soddisfazioni e riconoscimenti sia di pubblico che di critica. Maestri riconosciuti e venerati.
L'altra cosa che li accomuna è che si sono entrambi irrimediabilmente rincoglioniti.
Non mi riferisco alla musica (che anche li ci sarebbe da dire..) ma a due interviste che ho letto a poca distanza l'una dall'altra e che dicono entrambe la stessa cosa.
In estrema sintesi: "i giovani d'oggi non sono fichi come eravamo noi" " non si scrivono più le belle canzoni di una volta" "non ci sono veri talenti in giro (sottinteso : fichi come noi)".
E' interessante perchè pur vivendo in due latitudini diversissime, appartenendo a due mondi anche musicali diversi entrambi cascano nelle classiche fregnacce da mezza età.
Il fenomeno mi affascina.
Quando eravamo ragazzi, noi degli anni 80, pensavamo che i "vecchi" fossero così rigidi, incapaci di capire perchè appunto provenivano da strutture sociali rigide, incapaci di capire. Eravamo convinti che la nostra generazione, e soprattutto quella degli anni '70 sarebbero state molto diverse, proprio per le possibilità avute, la generosità offerta da un mondo che cambiava. Eravamo persuasi che saremmo stati più in sintonia con il presente, che lo avremmo capito insomma, mentre si faceva.
Ecco perchè sentire due musicisti che hanno fatto un pò delle storia pop dei loro paesi, riempirsi la bocca di luoghi comuni che ascoltavamo dai nonni quando parlavano di claudio villa fa una grande tristezza.
Paul Weller se la prende con i ragazzi che non fanno politica e ripensa ai bei tempi andati delle battaglie contro la Tatcher. E di nuovo non capisce che Cafè Blue degli Style Council ha fatto molta più politica di mille minchiosissimi concerti "contro". Che la buona arte è buona politica, mentre la banalità è SEMPRE immorale ( e questa è di manuel agnelli).
Pino Daniele è anche peggio.... la sua intervista trasuda rancore, stizza, disgusto, boria. E dice, lo ripeto, immani cazzate... cose tipo "ormai sanremo è un programma pensato per la tv" (quando invece negli ottanta era TUTTO in playback no...) oppure "non vedo certo dei De gregori e Dei Fossati tra gli artisti di oggi".
Si capisce dall'intervista che Pino non cerca più, non ascolta più, non va alla caccia di musica diversa, che pure in italia esiste. E' pigro e presuntuoso come certi nonnetti che leggono Sorrisi e Canzoni, ascoltano radio deejay di sfuggita e dicono "ecco lo vedi che musica di merda c'è?"
E che ingratitudine poi. Criticare un mondo, quello della discografia italiana che ti ha portato a suonare negli stadi durante gli anni 90, mondo di cui solo adesso scopri le storture e le imperfezioni perchè le senti sulla pelle. E le canzoncine in italiano con Irene grandi? e le pop song sulle ragazzine in amore che ti portavano in cima alle classifiche? E andare a suonare dalla De FIlippi? Questo è cercare la qualità? Cercare il talento?
Il finale poi è un capolavoro. Dice più o meno " L'anno prossimo mi scadrà il contratto con una major. Non lo rinnoverò.. voglio avere le mani libere."
Bello questo trasformare un contratto per cui (sospetto) nessuno ti ha proposto un rinnovo, nelle famose "scelte di vita".
Penso a come sarebbe stato più bello se un artista del genere (l'ho amato ed è stato geniale) avesse deciso per la generosità invece che per la malinconia rancorosa... magari facendosi mentore per artisti interessanti e nuovi. Aiutando la scena indipendente ad essere più ascoltata, mettendo a disposizione il suo sapere e, perchè no, i suoi soldi... che bel finale di carriera vero?
Invece no.
Preferisce atteggiarsi a principe del buon gusto in esilio.
Non ha l'onestà intellettuale di dire che è lui a non capire più i tempi.
Preferisce dire che sono i tempi, a non capire più lui.
giovedì 1 aprile 2010
la figa è loro e la gestiscono loro
per il neo governatore del piemonte la pillola abortiva ru486 può restare nei magazzini. Zaia governatore del veneto che vuole impedirne l'uso nella propria regione.
Fisichella, non il pilota di f1 ma un prete, plaude alla iniziativa.
Bene.
La deriva che parte dal drive in, passa per la carfagna e finisce alla d'addario si conclude degnamente.
Le donne tornano a non essere padrone del loro corpo.
Il lungo percorso della restaurazione della donna madre/moglie/troia si è concluso.
Del resto tra l'uso della femmina per scopare a decidere l'uso che la femmina medesima deve fare del proprio utero il passo è breve.
Questa saldatura tra leghisti con la fregola di essere finalmente accettati nelle sale vaticane e i vecchi puttanieri del PDL fa vomitare ed è oltretutto pericolosa.
Bersani eccoti una battaglia bella e pronta.
è perfetta perchè è sui principi intangibili.
è enormemente identitaria.
serra i ranghi.
farà pulizia nel tuo partito tra chi ci sta e chi no.
ecco perchè non la farai.
qual'è il rumore di una mano sola?
Mentre cercavo qualcosa da scrivere sulle elezioni, ho ripensato ad cosa che un un caro amico mi ha scritto di recente. E' difficile raccontare la realtà che stiamo vivendo. Se ne possono piuttosto cogliere dei frammenti, con un approccio più zen: Il satori. Nello zen il satori è quel momento breve e fuggevole in cui si ha l'impressione del tutto. La comprensione emotiva del senso delle cose.
E’ una sensazione che non si riesce mai a tradurre in una spiegazione razionale e circostanziata, perchè appena ci si prova, quella sensazione di onniscienza si perde.
Hanno anche azzardato una spiegazione scientifica.
La comprensione come la conoscono i pensatori orientali è un illuminazione che tocca solo la corteccia più alta del cervello. Una sensazione o percezione, chiamatela come volete, che sfugge immediatamente. Più intensa e fisica della comprensione intellettuale dei fenomeni, perchè la comprensione occidentale lavora nella parte più profonda del cervello,
dove agiscono le sinapsi e i collegamenti, un meccanismo più lento e complesso (ma duraturo) che però dà “conoscenza” ma non “sensazione” come invece avviene nel satori.
Perchè questo pippone introduttivo?
perchè leggendo tutti i commenti politici di queste 48 ore e cercando una sintesi, un punto di vista da offrire ho avuto appunto un “satori”.
Ragionando non in termini di anni ma di decenni, ho capito d’improvviso che siamo dentro la curva finale, lunghissima e rarefatta che segna la fine del '900 come lo conosciamo.
Di questi ultimi 50 anni gli storici parleranno come di un periodo di profonda transizione, e personaggi che crediamo di enorme caratura (nelle proprie specificità) assumeranno un peso da carta velina.
C’è qualcosa, oltre l’orizzonte dei prossimi 20/30 anni che sarà completamente diverso dalla organizzazione della società come la conosciamo ora.
Questo qualcosa io lo intuisco ma non so descriverlo perché mi è estraneo. Sono troppo vecchio.
Come D’annunzio, che moriva nel 1938.
Immaginate D’annunzio nel 38 a Gardone Riviera. Il suo mondo sono le potenze europee fasciste naziste colonialiste. la democrazia un ipotesi, l’America un luogo di imbelli. Le macchine sono le Isotta Fraschini e l’arte quella cosa elitaria e borghese.
Pensate che dista solo 10 anni dal 1948.
La fine della Monarchia, dei regimi totalitari europei. La nascita del neorealismo!
Ve lo immaginate D’annunzio che guarda “Roma città aperta?!”
Ecco noi siamo come D’annunzio.
Usiamo codici di comprensione della realtà secondo me già morti. Siamo una lunga transizione. Una intersezione della storia che non comprendiamo.
Un altro esempio? Winston Churchill.
Nel 1901 churchill aveva 27 anni. L’inghilterra era il paese più ricco, colto, con la classe dirigente più preparata, l’esercito più efficiente del mondo. la marina più potente e temuta.
L’idea di mondo che l’Inghilterra aveva era Imperocentrica.
Un paese, la Gran Bretagna, con le proprie colonie fedeli che la arricchivano.
il mare come spazio in cui esercitare l’egemonia.
L’Europa come unico centro del mondo.
Nel 1946 tutto questo era macerie.
Le colonie scomparse.
la flotta inutile. (i tedeschi avevano inventato già il primo aereo a reazione...)
il pendolo del mondo che diventa lo spazio tra america e russia.
l’Europa irrilevante e distrutta.
Persino Hitler apparteneva ad uno schema politico ideologico sorpassato.
Ecco io credo che noi tutti siamo come il D’annunzio del 1938 o il Churchill nel 1901.
C’è un mondo che si sta sfaldando con lentezza esasperante e noi crediamo di essere attori attivi di un cambiamento, mentre siamo solo l’ultima propaggine di qualcosa già concluso.
Ecco perchè non riesco a parlare seriamente della vittoria di Vendola e di Cota governatore del Piemonte.
Ecco perchè non riesco nemmeno a descrivere cosa è Bersani.
nota_
_il titolo del post è un noto koan zen. Un indovinello con cui si esercitano i monaci zen per arrivare a comprendere che appunto non esiste comprensione razionale di certe cose. E' una domanda senza risposta logica. Solo dopo mesi di meditazioni frustranti i discepoli si liberano (se ci riescono) dello schema di riflessione logico e arrivano a percepire il segreto della comprensione. Che è appunto solo percettiva e non intellettuale.
_la foto invece è lo zen garden di Kyoto. Immutato da secoli e rastrellato ogni mattina da monaci buddisti è un luogo di meditazione perfetto e di straordinaria... "vuotezza".
the searcher
nota_
_il titolo del post è un noto koan zen. Un indovinello con cui si esercitano i monaci zen per arrivare a comprendere che appunto non esiste comprensione razionale di certe cose. E' una domanda senza risposta logica. Solo dopo mesi di meditazioni frustranti i discepoli si liberano (se ci riescono) dello schema di riflessione logico e arrivano a percepire il segreto della comprensione. Che è appunto solo percettiva e non intellettuale.
_la foto invece è lo zen garden di Kyoto. Immutato da secoli e rastrellato ogni mattina da monaci buddisti è un luogo di meditazione perfetto e di straordinaria... "vuotezza".
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