giovedì 29 settembre 2011

il lavoro che rendeva liberi




che cosa non mi piace nei ragionamenti sull'innalzamento dell'età pensionabile?
Un sordo fastidio mi attanaglia ogni volta che ne sento parlare, poi ho avuto l'illuminazione.
L'innalzamento della pensione "perchè tanto ormai si vive più a lungo" è il grimaldello per modificae una cnocezione della vita. Proprio così. Più precisamente il rapporto tra esistenza e lavoro.
Quando le aspettative di vita erano intorno agli 80 anni circa,  parlo quindi degli anni 60/70,  si considerava accettabile crescere, studiare e preparasi all'età adulta per circa 20 anni, poi la comunità chiedeva 30/35  anni di lavoro, trascorsi i quali ti potevi riposare, perchè in un certo senso il tuo "debito" alla costruzione della società era pagato. Avevi quindi altri 15, 20 anni in cui osservare il mondo che cambiava, fare cose sempre desiderate (un viaggio, imparare a suonare il sax, dare le briciole ai piccioni) senza obblighi, con una certa leggerezza.
Una fase che poteva essere anche piacevole, se vogliamo.
La "teologia" che sottendeva a questo ordinamento sociale e pensionistico era precisa; l'uomo "deve" lavorare, ma non è nato necessariamente per fare "solo" quello fino ad esalare l'ultimo respiro.
Arrivato ad una età in cui energie mentali e fisiche vengono meno, l'uomo può riposarsi e godersi un serena vecchiaia, Una nuova fase dell'esistenza. Anche grazie al contributo dei più giovani, che a loro volta da vecchi,,,, ecc ecc. Si chiamava "patto sociale". Era figlio di una concezione della vita utopica e libertaria, ma anche ordinata e strutturata di quegli anni.  Anni in cui il lavoro era visto come un parentesi, seppur lunga e soddisfacenti della propria vita. Ma una parentesi appunto.  Una fase, che poteva concludersi. Anni in cui "smettere di lavorare"  non rappresentava un abominio ma un "diritto" addirittura.
Oggi (e senza nessuna discussone di rilevante spessore culturale o men che mai politico) si sta facendo passare il principio che si deve lavorare di più, perché semplicemente si "vive" di più.
Orrendo assioma vero? Il tempo del riposo nelle vecchiaia semplicemente non può dilatarsi. Se succede è un errore.  Rudemente; se muori più tardi, i tuoi 20 anni circa di riposo possono diventare anche 30 e questo la società moderna non se lo può permettere.
Perchè domando io?
Non certo per motivi economici.
Passati al sistema contributivo da quello retributivo saranno cazzi di chuinque decida, quanto e come continuare a lavorare. Quindi postulare che si debba arrivare a 40 anni (40 anni di fabbrica! 40 anni da muratore!) prima di potersi riposare, per non correre il rischio di vivere troppo senza fare nulla è lo sdoganmento di un'ideologia aberrante. Quella dell'azione continua fascista per intenderci,  della stasi, l'ozio che non possono venire tollerati, quasi fossero una colpa e non un legittimo traguardo.
E' la metamorfosi insomma della società avanzata che diventa, come nei peggiori incubi marxisti,  puro "luogo di produzione".
Uomini e donne poi! Tutti in pensione alla stessa età!  Seppellendo l'unico guizzo di galanteria sociale di questo cinquantennio storico e regalando alle donne l'unica parità che forse, si sarebbero volentieri risparmiate.
La vita quindi non più come percorso  deidcato al trittico; crescita/lavoro/riposo.
Bensì; crescita/lavoro/ancora lavorofinoadarrivareviciniallamorte.... e solo allora riposo.
Nel silenzio generale insomma,  una classe politica ha deciso che la soluzione per affrontare un ciclo di ristrutturazioni economiche necessarie al paese, va trovata solo nell'eterogenesi dei fini.
E il bello è che nessun dibattito almeno alto, almeno approfondito sul senso della vita e del lavoro ci ha portato a questo sottinteso ideologico.  Solo l'ansia di far quadrare i conti dello stato, solo la fretta, superficilaità e impreparazione culturale di una intera classe politica e di un intera società, che accettano questo assioma vita=lavoro come dato di fatto.
Almeno nei '70 queste battaglie erano politiche nel senso più alto del termine.
Ora sono mimetizzate e minimizzate nella sciatteria del dibattito contemporaneo. Manca insomma persino il coraggio intellettuale di chiamare tutto questo  dottrina.  Si preferisce, nella alltuale debolezza culturale, liquidarla come emergenza.


the searcher




questa bellissima foto la trovate QUI



venerdì 16 settembre 2011

il deserto RAI





prosegue l'esodo dalla Rai a tappe forzate per arrivare normalizzati, normalizzatissimi all'appuntamento del 2013.
Santoro, FazioSaviano e ora la Dandini. Per tacere della lontananza incomprensibile di Fiorello dalla rai. suo campo naturale di azione.
Pensate, la casa di produzione di “parla con me”  accetta, con questi chiari di luna di tagliare il budget del 5% pur di permettere alla Dandini di restare in Rai. Il Consiglio boccia l'accordo, spalancando di fatto le porte di viale mazzini perchè Serena si accomodi altrove.
Non credo che questa emoraggia di conduttori sia una volontà precisa di Berlusconi. Ormai i consiglieri del re sono così bravi a carpirne gli umori da anticiparne i desideri anche inconsci. C'è un altra componente però a mia avviso da non trascurare.
Quella dell'invida.
Storicamente la destra non ha mai saputo costruire programmi televisivi che coniugassero credibilmente informazione, intrattenimento, satira e un pizzico di spettacolo ("parla con" me appunto). Non è un caso se il Bagaglino viene citato costantemente come unico programma di successo che ha una connotazione tale ( e non c’è da vantarsene..)
La destra italiana alla cultura (anche quella televisiva) è sempre stata asincrona. La ritiene inutile, fighetta, parafrocia,  il vero uomo agisce e non studia. 
Nota bene, non parlo del centro democristiano, ché "La notte della repubblica" di Zavoli fu quanto di più moderato si potesse pensare: con il giornalista padre che interroga e i brigatisti figli prodighi che piangono davanti a lui. Quella era eccellente televisione DC. Paternalista, censoria, moralista, ma fatta decisamente bene.
Parlo della nuova  sgangherata destra che nasce nel 94 (impiantata però nel craxismo, che infati era ignorante e modernista) Che avendo fondato la propria idea di tv,  di comunicazione e di cultura popolare sulle donnine del tabarin anni 50, trova assolutamente incomprensibile il tentativo di fondere approfondimento e intrattenimento.
Di conseguenza i tentativi di portare in tv dei format simili si sono rivelati dei flop epocali (ancora ci ricordiamo excalibur con antonio socci...).
Da provinciale quale è  però la destra italiana disprezza, ma segretamente invidia e “aspira ad essere”.
 Eliminare dalla tv italiana certe voci permette di togliersi molte soddisfazioni; dimostrarsi problem solving con il Capo, vedere le odiose fighette intellettuali strisciare per avere una conferma e cacciarle comunque, ribadire con aria contrita che il problema non è affatto politico ma economico, facendole passare per radical chic che in realtà badano al soldo.
Insomma un sabba di soddisfazioni personali e che ha come risultato finale lo svuotamento della rai di risorse editoriali, ascolti ed entrate pubblicitarie.
Potrei fermarmi qui, ma c'è un rovescio della medaglia. 
I conduttori "di sinistra" non sono innocenti come putti. Spesso usano la situazione per far del vittimismo, per atteggiarsi a perseguitati, ciurlano nel manico per ottenere ottime condizioni economiche e di messa in onda urlando alla discriminazione appena si obietta qualcosa. Insomma non sono esenti da colpa, in cambio però offrono un prodotto di successo, che non è poco. 
Questa dialettica in realtà è fisiologicamente corretta.
Una squadra che funziona prova ad ottenere condizioni migliori economiche e di palinsesto, infatti quando provarono a diminuire la presenza di Vespa su Raiuno il conduttore giustamente si inalberò citando le uniche cose che si possono citare a propria difesa. Gli ascolti. La polemica si sgonfiò in un baleno. La vicinanza del Giornalista al governo (Vespa antiberlusconiano?!) tenne lo scontro nei canoni naturali e si chiuse con mediazioni e soluzioni.
Il punto infatti è questo. Mascherare da contesa editoriale/economica un problema che è politico.  
Questo inquina la dialettica editore/creatore, facendo apparire come incomprensibili le piazzate RAI e  permettendo poi a qualche star televisiva di sinistra di gridare all censura e mettere la sordina a pecche degli show che a volte esistono eccome (vero Sabina Guzzanti?)
Confondendo in questo modo le acque, la rai riesce in un invidiabile primato, sembrare sparagnina e dissipatrice, Censoria e superficiale, politica e qualunquista allo stesso tempo. Una bella impresa. non c’è che dire.